Lotta Europea

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domenica 26 settembre 2010

La conferenza generale di Vienna dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha bocciato la risoluzione presentata dai Paesi Arabi per costringere l’organismo internazionale a chiedere ufficialmente l’adesione di Israele all’AIEA stessa: 56 voti contrari, 41 favorevoli e 23 astenuti. Risultato: il governo israeliano continuerò a negare l’accesso degli ispettori internazionali ai propri siti nucleari.
Fondamentali al raggiungimento dell’obiettivo sono state le minacce di Tel Aviv (“È contro l’interesse israeliano ratificare il Trattato di non proliferazione nucleare, e l’Osservatorio nucleare delle Nazioni Unite sta oltrepassando il suo mandato nel chiederci di farlo”, aveva affermato il capo della Commissione per l’energia atomica di Tel Aviv, Shaul Chorev) e l’intervento degli U.S.A. che hanno chiesto inutilmente il ritiro della mozione per poi invitare i propri alleati ad astenersi o a votare contro la proposta, affermando che essa avrebbe minato gli sforzi in corso per bandire le armi nucleari dal Vicino Oriente e avrebbe costituito un messaggio negativo per i negoziati diretti in corso tra israeliani e palestinesi.
Visto quanto accaduto, come possono gli stessi stati pretendere da parte dell’Iran la rinuncia all’arricchimento dell’uranio e continue giustificazioni in merito ad un programma militare che non esiste? Teheran ha aperto agli ispettori dell’AIEA tutti i propri siti atomici in fase di sviluppo eppure, nonostante ciò, vive in regime di sanzioni internazionali. Israele, al contrario, acquista armi da Washington, mentre continua, con il beneplacito delle Nazioni Unite, a mantenere segrete le proprie centrali e non dichiarare le proprie testate nucleari.
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sabato 11 settembre 2010

Oggi, 11 settembre 2010, a nove anni esatti dall'attentato alle Twin Towers, si sarebbe dovuta svolgere l'iniziativa lanciata dal pastore Terry Jones di bruciare copie del Corano assieme ai 50 fedeli della sua chiesa Dove World Outreach, ricavata in un capannone della Florida rurale.
Si sarebbe, ma non si è fatto: alla fine il religioso ha ceduto di fronte alle pressioni della comunità internazionale e del governo di Washington. Si è convinto che a fronte della sua rinuncia, l'imam di New York desisterà dal progetto di costruire una moschea a Ground Zero. "Crediamo che l'imam manterrà la parola data", ha detto. Ma l'imam non ha espresso nessuna parola, non è stato sottoscritto nessun accordo, nessuno scambio: semplicemente non c'è stato nessun contatto, nemmeno per interposta persona, tra i due. E nessun incontro è in programma per i prossimi giorni.
Insomma, sembra tutto una grande bufala. Solamente una farsa. Una montatura giornalistica.
Ma in molti ci sono cascati: a Copenhagen un uomo, un islamico di origine lussemburghese, ha cercato di farsi saltare nei bagni del Jorgensens Hotel (rimanendo l'unico ferito dell'esplosione non riuscita); in Afghanistan sono numerose le manifestazioni anti-statunitensi e a Bala Baluk un civile è rimasto ucciso da un colpo di arma da fuoco (sparato da chi: da un soldato americano o da un manifestante locale? Non è dato saperlo) mentre a Faizabad, dove in migliaia sono scesi in piazza bruciando le bandiere a stelle e strisce sono cinque i feriti da colpi di pistola; in Belgio, un'associazione islamica ha invitato i propri seguuaci a bruciare le bandiere statunitensi.
Rimane un solo dubbio: chi ha fatto da megafono al solitario predicatore? Chi ha soffiato sulla brace? Chi ha fatto sapere agli afghani che sono scesi in piazza che in America 50 persone, radunate in un garage, volevano bruciare alcune copie del Corano? Certo, giornali e tv non potevano ignorare le parole del generale Petraeus una volta che questi si era pronunciato pubblicamente contro gli intenti di Terry Jones. Certo, non potevano ignorare la notizia di un rogo di libri sacri se ha diffonderla per prima era il CAIR, il Council on American-Islamic Relations: il 19 agosto, questa ONG avevva diramato la notizia al suo enorme network di contatti, trasformando quello che era poco più che una bravata in una notizia.
Accendendo la miccia di un incendio che si è presto diffuso in tutto il mondo. Un incendio su cui, a qualcuno, fa comodo gettare benzina piuttosto che acqua. Pronti a dover fronteggiare nuove emergenze islamistiche, nuove reti del terrore, nuovi stati-canaglia.
E intanto in Kansas la chiesa battista di Westboro ha annunciato di essere pronta ad andare avanti nell'iniziativa del rogo, se Terry Jones dovesse definitivamente mollare.
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lunedì 6 settembre 2010

“American combat mission in Iraq has ended”: il 31 agosto, annunciando il ritiro delle truppe da Baghdad, Obama ha utilizzato parole assai diverse rispetto a quelle usate dal suo predecessore che nel 2003 affermò, quantomeno prematuramente “missione accomplished”. Del resto, quasi in contemporanea, le autorità irachene informavano che nel solo mese di agosto ultimo scorso in tutto il Paese sono stati uccisi, in attacchi e attentati suicidi, 426 persone, di cui solo 54 soldati (e 77 agenti di polizia). Ciò nonostante, con le elezioni di midterm in programma tra una decina di settimane, il premio Nobel per la pace si è visto costretto ad annunciare la fine delle ostilità, per tentare, in questo modo di dare una sterzata alla sua popolarità in forte calo tra l’elettorato. Ma nel suo discorso Obama ha “dimenticato” di accennare ai 50mila militare U.S.A. che rimarranno in Mesopotamia affiancati da altrettanti contractors per un totale di circa 100mila uomini armati al servizio della Casa Bianca.
Allo stesso tempo, mentre confermava il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, Obama sottolineava che il ritmo del rientro dei militari da Kabul sarà determinato dalle condizioni sul terreno, condizioni che al momento sono drammatiche (il 2010 si sta confermando l’anno più sanguinoso dall’inizio delle ostilità mentre un recente reportage del Washington Post ha accusato di corruzione la Kabul Bank, il più grande istituto di credito privato del Paese, di cui Mahmud Karzai, fratello del presidente Hamid, detiene il 7%).
La necessità di ottenere al più presto un successo politico in ambito internazionale ha spinto Obama ad aprire in pompa magna, giovedì scorso, i negoziati di pace diretti tra Israele e ANP. Tuttavia, dopo la stretta di mano e le foto di rito, Abbas e Netanyahu hanno ribadito ciascuno le proprie condizioni necessarie a garantire la continuazione dei negoziati, le stesse che fino a pochi giorni fa invece erano indicate tanto dal presidente palestinese, quanto dal premier israeliano, come i principali ostacoli al processo di pace: il rinnovo della moratoria sulle costruzioni nelle colonie in Cisgiordania per il primo e il riconoscimento di Israele come Stato a carattere ebraico per il secondo.

Il “bluff” del successo diplomatico di Obama potrà durare, però, solo fino al 26 settembre quando Netanyahu annuncerà, come previsto, la ripresa delle edificazioni negli insediamenti illegali in Cisgiordania. Costringendo così Abbas a mettere fine questa farsa del colloquio: la colpa del mancato accordo ricadrà, ancora una volta, sui palestinesi e Israele potrà continuare a portare avanti senza troppi problemi la propria politica coloniale.
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