Lotta Europea

Lotta Europea

sabato 26 febbraio 2011

Ancora un salto indietro nel tempo. Torniamo al 1992, più precisamente al 2 giugno 1992 e saliamo a bordo del Britannia, il panfilo di sua maestà la regina di Inghilterra, in rotta lungo le coste tirreniche, da Civitavecchia all’Argentario. Girando tra gli splendidi saloni del panfilo ci imbattiamo nel gotha della finanza internazionale, oltre cento tra banchieri e uomini d’affari da tutto il mondo, soprattutto statunitensi, inglesi e olandesi (svetta su tutti il nome di George Soros). Tra gli italiani Mario Draghi e, forse, l’attuale ministro dell’economia Giulio Tremonti. Siamo nel bel mezzo di una riunione in cui proprio Mario Draghi illustra ai big della City il maxi programma di dismissioni e di privatizzazioni da parte dello Stato italiano: un vero e proprio smantellamento dello Stato imprenditore. Meglio, “il prezzo da pagare per entrare tra i primi nel club dell’euro” (il virgolettato è dello stesso Tremonti). Un piano che lo stesso Draghi, in qualità di direttore generale del Tesoro, porterà a compimento: negli otto anni successivi l’appena battezzato governo Amatato darà il via alla liquidazione di un centinaio di società (migliaia e migliaia di posti di lavoro) del gruppo EFIM (holding parastatale compartecipe, insieme a i privati, di vari colossi industriali del Mezzogiorno), e alla trasformazione in s.p.a. dei grandi enti pubblici (su tutte ENEL, ENI, INA e IRI). Andrà all’asta anche il Credito Italiano. Oltre a innumerevoli immobili, finiti nelle mani dei colossi USA Goldman Sachs (la sola area ex ENI di San Donato Milanese misura 300 mila metri quadrati), Morgan Stanley e Carlyle (il gruppo i cui azionisti principali appartengono alle famiglie Bush e Bin Laden): secondo le statistiche, nel solo settore immobiliare, i gruppi esteri hanno fatto incetta di patrimonio ex-pubblico per un valore di 15mila miliardi di lire (contro gli 11mila finiti nelle mani di privati nazionali, tra cui i re del mattone IPI, Pirelli, Risanamento, Statuto, Ligresti).
A bordo del Britannia, inoltre, si sarebbero raggiunti gli accordi per una supersvalutazione della lira: guarda caso, per l’Italia seguirà un settembre nero, con una svalutazione della valuta nazionale del 30% che costringerà l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi a prosciugare le risorse della banca centrale (quasi 50 miliardi di dollari) per fronteggiare il maxi attacco speculativo nei confronti della lira.
A infilarci pesantemente uno zampino anche Moody’s, l’agenzia di rating che declassò i nostri Bot. Un maxi-aggiotaggio rimasto impunito.
Era il 1992, l’anno di tangentopoli (l’arresto di Mario Chiesa, primo politico finito in manette, era avvenuto solo 100 giorni prima della riunione a bordo del Britannia): indagini e avvisi di garanzia che videro coinvolti ministri, deputati, senatori e imprenditori, portarono alla luce un diffuso sistema di clientelismo, corruzione e finanziamenti illeciti ai partiti, ma soprattutto diedero vita ad una grande indignazione dell'opinione pubblica contro la politica e il suo marciume. Ecco la scusa da gettare in pasto alle masse per togliere le mani dello Stato dall’economia e allontanare le segreterie di partito dai consigli di amministrazione delle imprese statali.
Oggi, quasi venti anni più tardi, i PM e il popolo italiano scoprono nuovamente, all’improvviso, i vizietti privati della classe politica, le sue notti brave e i suoi dolci piaceri. Di nuovo si scagliano contro la casta. E all’orizzonte si profilano i nomi giusti per una “nuova” fase politica, per governi tecnici ed esecutivi di unità nazionale: Draghi, Monti, Montezemolo. E già qualcuno parla di una nuova stagione di riforme liberiste e privatizzazioni.

P.S.
Finite le svendite, nel 2001, Mario Draghi è finito a libro paga (in qualità di vice-presidente e poi al vertice del “management committee”) proprio della Goldman Sachs, che tanti affari aveva fatto in Italia.
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venerdì 25 febbraio 2011

Gli avvenimenti delle ultime settimane ci impongono dei doverosi ringraziamenti.
Ringraziamo Roberto Benigni per le sue lezioni di patriottismo, abbracciate da tutto il popolo progressista da sempre schierato a favore della patria e della moralità...
Ringraziamo, poi, gli amici degli Stati Uniti d’America per essere stati ancora una volta gli unici ad aver votato contro l’ennesima inutile risoluzione ONU contro gli insediamenti di coloni ebrei in territorio palestinese. Questo accadeva mentre Barack Obama cenava con look informale assieme ai nuovi “maghi” (la citazione è del Foglio) della web economy, ossia i vari patron di Facebook, Yahoo, Google e Apple: coloro i quali ci hanno regalato un mondo falso, artefatto e virtuale, in cui l’unica cosa concreta è la schedatura di tutti negli archivi della polizia mondialista.
Infine, ringraziamo anche il popolo italiano, europeo e mondiale per la sua creduloneria, per il suo moralismo di fronte ai festini del Cavaliere, dall’alto di una vita passata, negli ultimi vent’anni, a guardare il Grande Fratello e il culo delle veline.
Li ringraziamo perché ci hanno ricordato che il nostro sogno resta l’Europa, quella della tradizione, dell’arte, della cultura, del diritto e della civiltà.
E come dice Roberto Benigni, l’unico modo per realizzare un sogno è svegliarsi. Solo la lotta paga!
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domenica 20 febbraio 2011












Facciamo un piccolo salto nel passato.
26 dicembre 2004, la “rivoluzione arancione” in Ucraina, operazione coperta e finanziata dagli Usa, termina con la vittoria del leader della protesta Vicktor Yushenko alle presidenziali. Cambio di rotta. L’Ucraina da paese satellite Russo ora guarda verso l’UE dalla quale riceve lo status di “economia di mercato”. La risposta russa fu tariffare il gas che esporta tramite l’Ucraina in Europa a prezzi di mercato (230$/1000mt cubi), anziché a prezzo di favore come era stato sino ad ora (60$/1000mt cubi). A seguito di una crisi diplomatica Gazprom decise di chiudere i rubinetti per Kiev,con la conseguenza che le importazioni europee subirono un drastico calo, dovendo attingere alle riserve petrolifere.
La tensione di un possibile ripetersi della crisi energetica spinse la Gazprom a cercare altre vie più sicure per l’Europa.
15 maggio 2009, alla presenza di Silvio Berlusconi e Vladimir Putin viene siglato l’accordo tra ENI e Gazprom per la costruzione entro il 2015 di una gasdotto, il South Stream, che porti dalla Russia, attraverso il mar nero e i Balcani,64 miliardi di metri cubi di gas all’anno direttamente in Europa. «Dietro questi numeri si trovano gli accordi di un grande significato politico, perché tutto questo gas arriverà in Europa senza dover più passare per il territorio dell'Ucraina» queste le parole del amministratore delegato ENI Paolo Scaroni alla sigla dell’accordo.
Ma l’approvvigionamento energetico da est è un problema al quale i paesi dell’Ue stanno cercando una soluzione anche tra altre possibilità, tra le quali la più importante è il progetto Nabucco. Nato nel tentativo di trovare una soluzione alternativa all’approvvigionamento del gas dalla Russia, fortemente compromessa dalle “guerre energetiche” con l’Ucraina e dalla guerra russo-georgiana dell’agosto 2008, costituito dal consorzio di 6 compagnie europee e non (di Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria, Germania), Nabucco sarà lungo 3.300 km. Dovrà trasportare circa 30 miliardi di metri cubi di gas dalla regione del Caspio e dall’Asia Centrale, passando per i paesi sopra citati. Ovviamente avvallato e promosso dagli Stati Uniti (senza contare che il gas arriva dai paesi come Georgia e Azerbaigian “redenti” dalle rivoluzioni colorate). Anche qui la contromossa russa non è tardata ad arrivare:un accordo russo-turkmeno stabilisce la vendita di due terzi della produzione di gas a Gazprom ed inoltre la promessa all’Azerbaigian di acquistare il suo gas a prezzo superiore di quanto pattuito con l’Europa, lasciando così le riserve di Nabucco a secco.
Ma le attività dell’ENI in terra russa non si limitano solo a South Stream: negli anni ha realizzato il gasdotto Blue Stream e le condotte offshore presso Sakhalin, ha siglato contratti di vendita di gas in Russia, si è aggiudicata lo sfruttamento di alcuni giacimenti russi. E ha restituito alla Gazprom il 20% delle azioni di Gazprom Neft’, acquistate dalla Jukos, finita in bancarotta dopo l’arresto di Mikhail Khodorkhovskij (Lotta Europea si è già interessata a questo personaggio il 30 dicembre 2010).
In questo scenario di guerra fredda energetica la scelta di ENI appare coraggiosa. Ci sarà un nuovo caso Mattei?
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domenica 13 febbraio 2011

Negli ultimi anni la distanza tra Roma e Mosca si è accorciata a seguito di una serie di scelte strategiche da parte dei governi italiani, specialmente di quelli a guida Berlusconi, amico personale di Vladimir Putin: in economia, partecipando a progetti energetici impostati dal Cremlino, in varie crisi geopolitiche, optando per un appoggio alle scelte russe, anche in contrasto con gli Stati Uniti. Un rapporto, quello tra Berlusconi e la Russia, iniziato nel 1988, quando la Publitalia 80, anche grazie alla mediazione di dirigenti del PCI, divenne la sola concessionaria di pubblicità per le aziende di tutta Europa sui canali televisivi sovietici: un mercato, allora, di 280 milioni di utenti, attraverso 100 milioni di televisori. Cavaliere a parte, nessun governo italiano ha mai ignorato ieri l’URSS, oggi la Russia: è sotto il governo Prodi che Eni e Gazprom hanno stretto accordi per la costruzione del gasdotto South Stream (di cui si parlerà più ampiamente nel prossimo articolo).
Ma andiamo con ordine. E partiamo dal vertice N.A.T.O. dell’aprile 2008, quando il governo italiano si schierò contro la proposta statunitense di concedere a Georgia e Ucraina, appena uscite dalle rispettive rivoluzioni colorate, la Membership Action Plan per agevolarne l’ingresso nell’Alleanza Atlantica. E arriviamo alla guerra georgiana dell’agosto 2008, quando Berlusconi si impegnò per una soluzione diplomatica del conflitto e, soprattutto, evitare al Cremlino sanzioni internazionali. L’indipendenza del Kosovo e il progetto di scudo antimissile da posizionarsi tra Varsavia e Praga sono, per il premier Berlusconi, continue provocazioni. E come se non bastasse, in qualità di presidente di turno del G8, nel 2009, il governo italiano ha rilanciato i lavori per la creazione di un comune spazio euroasiatico, sancito da un trattato sulla sicurezza paneuropea.
Intanto, in attesa dell’auspicata futura integrazione della Russia in Europa, l’Italia continua a correre da sola verso Mosca. L’interscambio commerciali supera i 25 miliardi di euro, con più di 10 miliardi di esportazioni tricolori. A legarci a doppio filo sono sicuramente le materie prime combustibile: il 70% delle importazioni dalla Russia è costituito da gas e petrolio. Ma, come già detto, ai rapporti tra Eni e Gazprom dedicheremo un capitolo a parte, la prossima settimana.
Prescindendo, quindi, per il momento, dal settore energetico, altra realtà di punta dell’imprenditoria italiana in Russia è Finmeccanica: tra gli altri, ha siglato accordi per la costruzione e la vendita di velivoli per il trasporto regionale, per l’assemblaggio di elicotteri civili, l’installazione di un sistema di controllo e sicurezza del traffico su rotaie. Anche l’Enel è fortemente radicata con interessi che spaziano dai campi di gas siberiani al settore nucleare alla distribuzione e vendita di energia elettrica. E poi automobili, elettronica, abbigliamento, calzature, mobili. Ma anche edilizia, metallurgia, ceramica, agroalimentare, banche. E nello stesso tempo aziende russe fanno affari nello Stivale, rilevando aziende siderurgiche, gestendo porti (Rimini), costruendo, acquistando e vendendo immobili. E l’elenco potrebbe continuare ancora per molto.
Insomma: nei confronti della Russia, l’Italia ha decisamente intrapreso una propria politica estera indipendente. Quanto basta per dar fastidio a Washington.
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lunedì 7 febbraio 2011

Come è nostro stile non ci interessa parlare di argomenti di costume o riguardanti i vizietti della nostra classe politica, ma di fronte a ciò che sta accadendo troviamo la necessità di tenere più che mai gli occhi aperti, di contestualizzare.
Per spiegare il caos politico italiano ci serviremo di alcuni argomenti cardine:
-I rapporti Italia-Russia
-L’affare Eni-Gazprom nel progetto south-stream
-La svendita di Eni e Finmeccanica
-La rottura finiana e le inchieste sulla prostituzione

Che legame hanno questi argomenti in quello che sta accadendo?
La risposta è molto semplice.
Con il governo Berlusconi i rapporti con la Russia si sono sempre più intensificati tanto da trasformare l’Italia da indiscusso e fedele esecutore di disposizioni americane in un paese da rimettere presto in riga.
A complicare le cose poi ci fu la scelta Eni di subentrare nell’affare South-stream, cioè il gasdotto che porterebbe il gas dalla Russia all’Europa bypassando gli stati “amici” americani, tutto questo in alternativa al progetto Nabucco firmato Usa, che al contrario tagliava fuori la Russia dal rifornimento energetico europeo.
In aggiunta c’è da considerare poi le pressioni per la svendita di Eni e Finmeccanica alla finanza internazionale che, sfuggite ai colpi del ’92, ancora sono a partecipazione statale. Come successe con “mani pulite” ci fu bisogno di sostituire la classe politica per poter mettere mano sull’Iri a prezzi stracciati.
C’è quindi bisogno di una spallata, nessun argomento migliore da dare in pasto al popolino che i bisogni giovanili del premier!
Inchieste con intercettazioni e carteggi infiniti smuovono l’opinione pubblica, si ritorna a parlare dei suoi legami con la mafia e delle inchieste per concussione; intanto dall’altra parte si prepara l’alternativa, si stacca Fini con Fli e si forma l’asse Fini-Montezemolo-Casini con il compito di riportare la politica e l’economia italiana presto all’ovile.
Con i prossimi articoli spiegheremo nel particolare i punti che hanno portato alla situazione attuale, lontani da giudizi di merito sull’operato di questo governo, tanto più dalla difesa di un premier tutt’altro che vittima, ma consci che le scelte che riguardano le nostre vite sono manovrate sempre da qualcun altro e che la soluzione a tutto non può che chiamarsi EUROPA.
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mercoledì 2 febbraio 2011

3 febbraio 1998: un aereo militare U.S.A. in esercitazione, decollato dalla base N.A.T.O. di Aviano, prova, per sfida, a passare sotto i cavi della funivia, tranciandola.
Venti europei morti dopo una caduta di 80 metri.

Il processo farsa, trasferito dal tribunale italiano alla corte marziale americana, assolse i due militari dall'accusa di omicidio colposo, rimuovendoli dal servizio, colpevoli di aver distrutto il video del volo e per "soddisfare le pressioni che venivano dall'Italia".

Tredici anni dopo noi non dimentichiamo i nostri morti.

Più di 177 tra basi e installazioni militari US Navy, Air Force, Army e N.A.T.O. delle quali 107 solo in Italia, 71 basi NSA (servizi segreti e intelligence), 116000 soldati U.S.A.: i numeri di più di sessant'anni di occupazione dell'Europa.

FUORI GLI AMERICANI DALL'EUROPA, FUORI L'EUROPA DALLA N.A.T.O.!
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