
E' dunque tempo di bilanci e mentre gli Stati Uniti amplificano i propri risultati (''Rispettiamo le decisioni di un Iraq sovrano e plaudiamo al fatto che gli iracheni siano ormai pienamente responsabili dell’indirizzare il proprio cammino'', ha detto il generale Robert Caslen), la situazione laciata sul terreno è differente: l'Iraq è un paese distrutto, disgregato socialemente ed economicamente, instabile e pericoloso. Ne è una prova la profonda crisi che sta investendo la politica nazionale a seguito della decisione di sospendere la propria partecipazione ai lavori parlamentari annunciata dal blocco laico Iraqiya, guidato dall'ex-premier Iyad Allawi. Non stiamo parlando di un out-sider della politica locale ma di uno degli uomini USA nel paese, allevato nei corridoi della CIA e piazzato al governo nel 2003 dall’ex plenipotenziario statunitense in Iraq, Paul Bremer. L'accusa mossa all'attuale premier Nuri al Maliki è quella di "ignorare gli altri partiti, di politicizzare la giustizia, di favorire l’esercizio solitario del potere e la violazione delle leggi”.
L'instabilità politica del nuovo Iraq nato sotto il tutoraggio statunitense è la prova più evidente del fallimento della missione statunitense. Un fallimento a metà, dato che i veri obiettivi economici e strategici di Washington sono stati raggiunti, così che non c'era più alcun motivo per rimanere impantanati in un territorio instabile e pericoloso.
0 commenti:
Posta un commento