Lotta Europea

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mercoledì 4 gennaio 2012

Un nuovo vento dall'Est

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Il nuovo anno è stato inaugurato in Ungheria con l’entrata in vigore della nuova Carta Costituzionale, redatta dall'ampia maggioranza parlamentare del partito Fidesz. Forti critiche sono state sollevate, oltre che dalla popolazione, anche dai partner, europei e non: la Commissione UE, il FMI, e la paladina della democrazia Hillary Clinton, che si sono detti molto preoccupati della svolta ungherese, definita autarchica ed illiberale.
Come sempre accade, dietro questi aggettivi si nasconde la paura dell'Occidente per qualsiasi voce si levi contro il sistema liberalcapitalista imposto al mondo. Vediamo perché il caso ungherese costituisce un'eccezione a questa regola e quali sono le cause di tanto allarme.
La nuova Costituzione, la prima promulgata dopo la caduta del muro di Berlino, ha inserito tra i principi fondamentali alcuni concetti che suonano inaccettabili alle orecchie dei padroni del mondo: si parla espressamente di Dio, di tutela dell’embrione e di riconoscimento della sola unione in matrimonio fra uomo e donna.
A preoccupare però l'Occidente sono le politiche finanziare ed economiche messe in campo dal governo di Budapest: il premier Orban, infatti, ha deciso di non rinnovare il prestito concesso nel 2008 dal FMI, per non costringere il suo paese a sottostare ai pesanti compromessi stabiliti dall'organismo internazionale. Al contrario il primo ministro ha emanato una serie di provvedimenti rivoluzionari: ristatalizzazione dei fondi pensione, imposizione di una tassazione onerosa per i grandi gruppi stranieri operanti nel paese magiaro e limitazione dei poteri della Banca Centrale Europea. La risposta dell’Europa non è tardata ad arrivare con la sospensione dei negoziati per il prestito di 15 miliardi richiesto per risanare il bilancio statale. A questa decisione si sono aggiunte le minacce di sospensione dall' Unione Europea.
Per farla breve, l'Ungheria ha deciso di alzare la voce e di non cedere alle richieste internazionali, non curandosi delle pressioni internazionali ma, al contrario, seguendo quella che è stata definita la via islandese: impugnare il proprio debito come arma di ricatto.
Ad Est si è alzato un vento nuovo, a noi il compito di soffiare perché diventi tempesta e coinvolga tutta l'Europa.

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