Lotta Europea

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lunedì 11 maggio 2015

Riflessioni sull'ambientalismo

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In occasione dell'uscita del numero 12 di Lotta Europea "Terra!", dedicato in senso lato ai vari temi legati all'ambiente e alla Natura, pubblichiamo queste brevi riflessioni sul significato e sulle strategie del movimento ambientalista.

Da quando ne hanno parlato i Cinque Stelle, i temi (o almeno i termini) della decrescita felice o dello sviluppo consapevole sono entrati anche nel dibattito politico italiano e, pur con la consueta banalizzazione e semplificazione, sono arrivati anche alle orecchie e alla bocca dell’uomo comune, convinto senza opporre resistenza della necessità impellente di darsi alla raccolta differenziata, salvare le più sconosciute specie animali della foresta Amazzonica e fermare il surriscaldamento globale. Chi passa le sue giornate seduto davanti al televisore o allo schermo del PC, è bombardato continuamente da notizie allarmanti sulla proliferazione di nuove o rinnovate malattie (la “pandemia” torna ciclicamente ad occupare i titoli di testa dei TG) o sullo scioglimento dei ghiacciai e la conseguente inondazione delle città costiere (perché si sa che non ci sono più le mezze stagioni, ma non sa che l’espansione senza precedenti del virus Ebola è stata (anche) colpa dell’OMS che avrebbe ritardato di due mesi l’annuncio dell’emergenza per non interferire con gli interessi economici dei paesi interessati e con il pellegrinaggio ottobrino vero la Mecca o che la superficie dell’Artico coperta dai ghiacci è in costante aumento da qualche anno. Per farla breve, ignora che, catastrofismi a parte, l’umanità non è (ancora) in via di estinzione.
O che le risorse energetiche non sono in via di esaurimento, ma che, al contrario, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia la capacità di cisterne e magazzini di stoccaggio del greggio U.S.A. è in esaurimento. È proprio la presunta penuria di risorse, materie prime o perfino di superficie terreste, il punto di partenza di ogni allarmismo ecologico, in nome di un rinnovato malthusianismo.  Il riferimento è a Thomas Robert Malthus, che già nel 1798 denunciava la penuria delle risorse, imputabile, essenzialmente al diverso tasso di crescita della popolazione (in progressione geometrica: 2-4-8-16-32-64) e delle risorse (in progressione aritmetica: 2-3-4-5-6-7). Una teoria di cui non è difficile smontare l’impianto, basata com’è (oltre che su calcoli e statistiche approssimativi, incompleti ed inesatti) su una concezione di sviluppo puramente quantitativa, che non tiene conto delle innovazioni che ogni volta cambiano strutturalmente il sistema che finisce per non obbedire più alle regole del precedente. Per dirlo in maniera più semplice, per aumentare i prodotti agricoli, non si è costretti necessariamente coltivare nuovi appezzamenti fino all’esaurimento della superficie terrestre, dato che le innovazioni tecnologiche sono in grado di aumentare la produttività di quanto già messo a coltura. Anche la storia ha dimostrato quanto Malthus sbagliasse: basti pensare che aveva previsto un rapido declino per le nascenti colonie statunitensi, sommerse dai continui nuovi arrivi di europei…
Se le idee malthusiane tornano ciclicamente in voga c’è però una ragione profonda, che va al di là della loro dimostrabilità o della loro validità economica-filosofica ed è legata al passo successivo compiuto dall’economista inglese quando scrive che “siamo obbligati […] a ripudiare il diritto di proteggere i poveri. A questo fine dovrei proporre un regolamento da applicare […] che nessun bambino nato […] a due anni di distanza dalla data legge possa ricevere alcuna assistenza. […] L’infante è, in termini di paragone, di poco valore per la società, in quanto altri ne prenderanno immediatamente il posto. Tutti i bambini nati, oltre il numero stabilito per mantenere il livello desiderato, sono destinati a perire, a meno che non venga fatto loro spazio con la morte di adulti. Dobbiamo facilitare le tendenze della natura a prevedere questa mortalità, invece di sforzarci stupidamente e vanamente ad impedirle; invece di raccomandare l’igiene ai poveri, dovremmo incoraggiare abitudini differenti. […] Nelle nostre città dobbiamo fare strade più piccole, case più affollate e sollecitare il ritorno della peste”. Non sarebbe stata la peste, ma la Grande Carestia Irlandese del 1845-1849 a mettere in atto quanto auspicato da Malthus, sfoltendo la popolazione dell’isola con un milione di morti e obbligando i superstiti a cercare fortuna in Nord America.
Non è necessario dimostrare come tali idee fungano da giustificazione filosofica per mantenere inalterate le diseguaglianze sociali: la povertà è ineluttabile e i poveri sono tali semplicemente a causa del loro numero eccessivo per le risorse a disposizione, motivo per cui si rende necessario porre un freno all’aumento della popolazione per evitare il depauperamento della ricchezza globale. Un’ottica tetra, per cui l’uomo non è altro che un cancro per la natura, da estirpare per ristabilire l’ordine dell’ecosistema Terra. Le derive idolatriche dell’ecologismo moderno, accumunate dalla riduzione dell’uomo a livello animale o subanimale, altro non sono che forme meno appariscenti, portabili in società, della stessa concezione di chi, lo abbiamo visto, sognava l’avvento della peste per decimare l’umanità. Magari nascondendo i propri sogni occulti dietro l’immagine rassicurante di un affettuoso panda, come quello del WWF, un’organizzazione che vanta un bilancio di decine di milioni di dollari e lavora per la Banca Mondiale, pressando i paesi in via di sviluppo a finanziare unicamente i progetti infrastrutturali a basso impatto ambientale, imprigionandoli nel loro stato di sottosviluppo. O addirittura armando i governi per difendere determinate specie animali: il Guardian ha in passato rivelato che le forze armate dello Zimbabwe, rifornite dal WWF di armi e mezzi di trasporto, hanno ucciso diverse decine di bracconieri per difendere i rinoceronti neri, le cui vite erano evidentemente da considerarsi più importanti di quelle di svariati esseri umani, per quanto criminali. Vicepresidente dello stesso WWF è stato un tempo Luc Hoffman, comandante dell’Ordine dell’Arca d’Oro per la “dedizione e la straordinaria generosità a favore della conservazione della natura e per il ruolo svolto nell’ambito delle più influenti organizzazioni ecologiste del mondo”, nonché proprietario di quell’impianto Icmesa di Seveso, colpevole dell’emissione di nubi di diossina: l’ennesima prova di come quella ambientalista non sia altro che una maschera, indossata alla bisogna dagli uomini delle maggiori lobbies e della nobiltà europea per inseguire i propri interessi finanziari e geostrategici. Sarebbe lunga la lista di questi nominativi: basti citare, tra i tanti possibili, Robert Anderson, contemporaneamente presidente della Atlantic Richfield Oil Corporation (impegnata nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel mare del Nord) e principale finanziatore della “Giornata della Terra” e dell’associazione “Friends of the Earth” (200mila dollari ciascuno nel 1970), o il re Filippo Duca di Edimburgo, fondatore insieme al principe Bernardo d’Olanda proprio del WWF. Lo stesso Filippo affermò una volta che, se fosse rinato, gli sarebbe piaciuto “essere un virus letale come quello dell’AIDS, per contribuire a risolvere il problema della sovrapposizione”.
Innocui movimenti pacifisti, strenui difensori dei diritti degli animali e militanti vegani altro non sono che le forze gnostiche che tornano alla luce con vesti nuove che nascondo a malapena, almeno ad un occhio allenato, gli eterni culti matriarcali della Madre Terra: esprimono la ribellione alla concezione tradizionale dell’uomo, fatto tanto di Natura, quanto di Intelligenza e di Anima, reso padrone della Terra e dei suoi frutti. A tal proposito, come spesso accade, la tradizione cristiana si pone a prosecuzione e compimento di quella greco-romana, come dimostrato, ad esempio, dalle parole di Lattanzio, apologeta cresciuto in ambiente pagano: "Gli stoici affermano che il mondo è stato fatto per l’uomo, e con ragione, perché gli uomini godono di tutti i beni che esso racchiude in sé. Ma perché l’uomo stesso sia stato creato e quale utilità abbia da lui quella artista costruttrice che è la provvidenza, gli stoici non lo hanno spiegato. Voglio dunque esporre quell’importantissima verità che mai i filosofi, che pur hanno detto il vero, hanno potuto scoprire, perché non seppero dedurre fino in fondo le conseguenze. Il mondo è stato creato da Dio, perché nascesse l’uomo. Gli uomini sono stati creati, perché riconoscessero Dio come padre: in ciò consiste la sapienza. Essi riconoscono Dio per onorarlo: in ciò consiste la giustizia. Essi lo onorano, per riceverne il premio dell’immortalità. Ricevono poi il premio dell’immortalità, per servire Dio in eterno. Vedi dunque come tutto è concatenato: il principio con il mezzo, e il mezzo con la fine?"
L’uomo fa parte di quell’infinita varietà di cose, complessa ed unitaria, che risponde al nome di Natura e che, perché opera di Dio o perché principio di sé, ha la vita in sé. Ma a differenziare l’uomo dalle pietre, dalle piante e dagli animali c’è la sua intelligenza, compresi gli afflati per l’ignoto non consapevole al di là della sua portata, la commozione spirituale e tutti i movimenti psicologici: è questo l’elemento discriminante della natura umana, che investe anche quei fenomeni propri di tutti gli esseri viventi, per cui, ad esempio, la continuità della specie è nell’uomo illuminata dall’ideale dell’amore. E c’è infine l’anima, il suggello di Dio, che obbliga l’uomo ad una dimensione teologica della sua esistenza che non può essere circoscritta alla storia, al visibile e al contingente.
Sono queste tre dimensioni, tra loro intimamente correlate, a fare dell’uomo un Uomo. Qualsiasi pretesa di reductio ad unum (l’uomo a una dimensione, direbbe Marcuse) ha conseguenze drammatiche ed in ultima istanza nega la realtà più profonda dell’individuo. Se l’uomo occidentale appare prigioniero della Macchina che con la sua intelligenza ha creato per vivere con maggiore comodità, la sua liberazione non consiste in un ideologico ritorno alla natura inteso come spoliazione di quanto c’è di superiore in lui: per farla semplice, un gatto o un cane non hanno il suo stesso valore, come vagheggiato dagli ecologisti militanti.
Occorre al contrario che l’uomo riscopra la sua dimensione ed il suo ruolo che è quello di governo e di controllo tanto della macchina quanto della Natura, che deve e può essere rispettata ma che allo stesso tempo può e deve essere sfruttata per raggiungere felicità e benessere. È necessario ritornare a livelli di autonomia dell’uomo rispetto all’ambiente artefatto che le macchine hanno costruito per rendere accettabile un territorio ed un’esistenza da tempo avviati alla decadenza, a livelli di equilibrio tra persona e ambiente, nel quale le macchine abbiano un posto sussidiario e l’Uomo sia il fine e non il mezzo delle azioni.

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