Lotta Europea

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venerdì 28 ottobre 2011

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lunedì 24 ottobre 2011

In quest’ultimo periodo la Turchia si sta proponendo come leader morale per le nazioni arabe uscenti dalle diverse “rivoluzioni”, tutte affamate di democratizzazione. Chi può meglio assurgere a questo ruolo di un paese in cui, dopo la costituzione della Repubblica Turca per opera del movimento di Mustafa Kemal Atatürk, vi è stata una netta separazione tra potere secolare e religione islamica?

A Salonicco, città da cui partì la rivoluzione dei Giovani Turchi, negli anni a cavallo tra l’800 e il ‘900, vi era una forte presenza (circa 15.000) di Dunmeh sabbatei, persone apparentemente musulmane ma in realtà appartenenti alla setta cripto-giudaica seguace di Sabbatai Zevi. Quest’ultimo, vissuto nel ‘600, proclamatosi Messia del popolo di Israele, era stato arrestato e costretto a convertirsi all’Islam, suscitando grande delusione nei suoi sostenitori. È tuttavia sull’apostasia che si basava tutto il sabbateismo. Infatti Zevi promuoveva l’eresia del “messia peccatore”, che per la redenzione deve discendere nell’abisso del peccato e compiere il gesto più vergognoso: il rifiuto della Torah. E giustamente, per non essere da meno e soprattutto per raggiungere la salvezza, gli adepti della setta dovevano compiere riti orgiastici e pratiche tipiche delle sette esoteriche come la sodomia e l’incesto. (Per inciso, settant’anni dopo, Zevi, apparve in sogno ad un giovane ebreo polacco, Jacob Frank, che, guidato dal “santo spirito” si proclamò Messia, compì l’apostasia convertendosi al cristianesimo, creando una setta di pseudo-cattolici).

In Turchia i Dunmeh finirono per occupare posti privilegiati nei settori della politica, degli istituti bancari e del commercio ed è accertato che queste “moralissime” sette, essendo ben inserite nelle lobby affaristiche e politiche, abbiamo influenzato la rivoluzione dei Giovani Turchi che, esautorando il sultanato, posero le basi per il moderno e democratico Stato Turco, a difesa della cui laicità la Costituzione pose l'esercito, la cui élite è alle strette con il governo di Erdogan.

Siamo davvero così sicuri che gli altri stati islamici siano pronti a porsi sotto l’ala protettrice di un paese che non ha un identità politico-religiosa così trasparente?
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domenica 9 ottobre 2011

Nei giorni scorsi Diego Della Valle ha comprato una pagina dei maggiori quotidiani italiani per pubblicare un invettiva contro la classe politica italiana. Un testo banale, qualunquista e buonista. Niente di più che il solito stanco appello alla parte migliore del Paese, a quella società civile invocata ad ogni pié sospinto per un riscatto morale della nazione contro le malefatte della politica. Poche idee espresse oltretutto in una prosa sciatta, cui ben si addice il mediocre titolo della lettera: "Politici, ora basta!". Nihil novi sub sole.
Un'iniziativa che non meriterebbe attenzione, se non come simbolo rappresentativo di un certo capitalismo italiano (quello dei vari Marchionne, Montezemolo, Benetton e mille altri), che mentre calpesta i diritti sindacali dei propri dipendenti si presenta alle masse come campione di moralità, che mentre elogia il Made in Italy delocalizza nei paesi del Terzo Mondo. Una classe imprenditoriale che nasconde i propri interessi dietro il paravento della beneficenza e dei servizi alla comunità, come nel caso dell'affaire Colosseo.
Il 21 gennaio scorso la Tod's di Della Valle ha siglato un accordo con il Commissario per l'area archeologica di Roma Capitale e con la locale Soprintendenza in base al quale si impegna a finanziare con 25 milioni di euro il restauro ed il recupero dell'Anfiteatro Flavio. Una iniziativa salutata con entusiasmo da tutti i giornalisti italiani, quasi commossi di fronte a tanta beneficenza gratuita. Poiché non abbiamo creduto alla favola dell'imprenditore buono, siamo andati a leggere i termini dell'accordo e, naturalmente, le nostre perplessità hanno trovato fondamento. E' scritto infatti che il 10% della spesa (2,5 milioni) è destinato alla realizzazione di un Centro Servizi che " potrà fregiarsi e utilizzare la denominazione e i segni distintivi dello Sponsor": una sorta di Casa Tod's negli ambienti del Colosseo, senza neanche dover pagare l'affitto! Non è finita qui, perché il logo dell'impresa di calzature potrà essere stampato sui biglietti di ingresso e potrà ricoprire i lavori di restauro, nascondendo, quindi, il prospetto del monumento più famoso di Roma antica. In modo inverso, lo sponsor potrà usare per suoi fini commerciali, in Italia e all'estero, un logo raffigurante il Colosseo. Tutti piccoli dettagli se paragonati ad un altra clausola del contratto: la Tod's potrà ottenere l'accesso riservato alll'anfiteatro per gruppi di persone. In poche parole, la prossima volta che Della Valle dovrà incontrare un gruppo di acquirenti cinesi, non li inviterà nei suoi uffici, ma direttamente nel Colosseo, che, per l'occasione, rimarrà chiuso al pubblico. Come se non bastasse, mentre i lavori di restauro dureranno al massimo 24 mesi, i precedenti diritti sono concessi alla Tod's per ben 15 anni. Nei fatti, un vero e proprio sfruttamento privato di un ben pubblico.
"Noto come moralizzatore del calcio italiano, beffato da intercettazioni telefoniche imbarazzanti, tanto amato dai cattolici trasformisti e affaristi, un tipo alla Mattei che vorrebbe rivendersi come un Olivetti, amante dei profitti (pardon, progetti!) umanitari molto legati al ritorno di immagine e al business, [Della Valle] andrebbe studiato come rappresentante autorevole del nuovo capitalismo italiano, che è peggio del vecchio. Anzi, è più vecchio di quello vecchio, e sa di ottocentesco sfruttamento e assoggettamento, di potere mediatico mischiato a quello finanziario, e dove l'industria non c'è più, è solo un fantasma che serve al marketing e in questo specifico al narcisismo, cancro dell'epoca che stiamo vivendo" (A. Ferracuti, Viaggi da Fermo).
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giovedì 6 ottobre 2011

Il tre ottobre, in viale dell'Astronomia sono arrivate due lettere, una targata Fiat e Chrysler, l'altra Fiat Industrial. Una sola firma in calce, quella di Sergio Marchionne. Un solo messaggio: il Lingotto esce da Confindustria.
Marchionne ha parlato di una scelta politica. Niente di più falso.
Per comprondere in pieno questa decisione si deve tornare al 21 settembre, quando sotto la guida della Marcegaglia, i quattro maggiori sindacati si sono trovati a firmare un accordo sui contratti industriali, stipulato il 28 giugno.
Accordo che, di fatto, andava ad annulare in sole tre righe, aggiunte a settembre, l'articolo 8 della manovra governativa di ferragosto, che legittimava l'opting out condizionato: dava cioè la possibilità ai contratti aziendali e territoriali di stringere, per determinati fini, intese in deroga ai contratti nazionali e alla legge stessa.
Tra le materie per le quali era prevista la deroga figurava anche il licenziamento. In parole povere si conferiva la libertà di licenziare. Un decreto salva Fiat in tutto e per tutto.
L'accordo del 28 giugno ha visto dunque la Fiat uscire sconfitta, in quanto non gli sarebbe stato più possibile avere le mani libere per portare a termine tutti i suoi piani di restaurazione aziendale,
Marchionne da bambino viziato a cui è stata tolta la caramella è dunque uscito dalla Confindustria.
Un vero e proprio divorzio all'italiana.
Ma gli alimenti li pagheranno solo i lavoratori.
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