Lotta Europea

Lotta Europea

giovedì 29 luglio 2010

L’Europa e gli europei devono molto a Jean Thiriart. Gli devono la denuncia della "impostura chiamata Occidente" (questo il titolo di un suo editoriale in un numero del mensile La Nation Européen del 1966) e dei suo sinistri difensori (in quegli anni, Henri Massis a Ronald Reagan su tutti). Gli devono la designazione degli Stati Uniti e del Sionismo come nemici principali dell'Europa ("Imperialismo americano, sionismo: un solo nemico per la Nazione Europea", scriveva nell’aprile 1984 sulle colonne della rivista Conscience Européenne). Gli devono l'idea di un'Europa indipendente ed unita, da Dublino a Bucarest, poi da Dublino a Vladivostok e l'idea di un'alleanza con i nazionalisti arabi e i rivoluzionari del Terzo Mondo. Gli devono l'abbozzo, con l'organizzazione Jeune Europe, di un Partito Rivoluzionario europeo. Gli devono la versione modernizzata di un socialismo che vuole essere nazionale (Nazione europea), comunitario e "prussiano".
Gli devono "La Grande Nazione", un agile testo dei primi anni ’60 che, in 65 tesi, traccia un vero e proprio programma politico per la Nazione Europea.
La speculazione politica thiriartana prende avvio dalla constatazione dell’ineluttabilità della dimensione continentale per svolgere un ruolo nello scacchiere geopolitico mondiale dell’era moderna: "non esiste più, attualmente, né indipendenza effettiva, né progresso possibile, al di fuori dei grandi complessi politici organizzati su scala continentale. […] Oggi la dimensione europea è il minimo indispensabile per l’indipendenza. […] Rifarsi ad un piccolo e antiquato nazionalismo non vitale è una forma di sentimentalismo suicida. Vogliamo un nazionalismo all’altezza del nostro tempo, vogliamo un nazionalismo valido, vogliamo un nazionalismo vitale: il nazionalismo europeo". Non è sterile nazionalismo sciovinista e fratricida, ma il riconoscimento di un’dentità di destino, la partecipazione ad un disegno comune da parte delle diverse comunità e anime che abitano il continente eurasiatico.
Ma quale forma dovrà avere questa Europa? E’ qui il limite ideologico, piuttosto pesante, dell’autore: la Nazione europea non può che avere forma unitaria, al di fuori di qualsiasi logica organicista o connotazione regionalista, federalista o imperiale. L’Europa Nazione, per lui, sarà uno stato più grande, ma fondamentalmente simile ai vecchi piccoli stati frutto dei vari Risorgimenti. La "Grande Nazione" dovrà essere necessariamente armata e dotata di propri arsenali atomici. Thiriart, in anticipo sui tempi, prevede pure la necessità della moneta unica europea, punto di passaggio obbligato sulla via dell’indipendenza: "la fine del protettorato americano passa per la soppressione della tutela del dollaro e la creazione di una moneta non straniera, europea, basata sulla nostra prodigiosa potenza economica".
Scrivendo ai tempi del Muro di Berlino e della guerra fredda, la sua analisi della geopolitica può risultare datata: ciò che rimane attuale è la saggezza della sua presa di posizione per l’integrazione di Mosca all’interno del sistema politico-economico europeo, dopo la caduta del comunismo ("in un tempo più lontano la frontiera dell’Europa passerà indubbiamente per Vladivostok").
Autarchia, indipendenza, potenza, dignità sociale: questi i valori di base della concezione economica thiriartiana. Contro i disastri delle economie marxista e capitalista, Thiriart invoca una economia di potenza che miri al massimo sviluppo del potenziale produttivo continentale, all’autarchia nei settori economici strategici, al dominio del politico sull’economico.
"L’Europa è di moda e serve da spunto a molti dilettanti ed intellettuali. Da quest’Europa delle chiacchiere, da quest’Europa dei banchetti, non uscirà mai fuori un’Europa di sangue e di spirito. Quest’ultima si farà quando la fede nell’Europa nazione sarà penetrata nelle masse e avrà entusiasmato la gioventù, cioè quando ci sarà una mistica europea, un patriottismo europeo. La vera Europa non verrà realizzata dai giuristi o dai comitati: sarà opera dei combattenti che hanno la fede, dei rivoluzionari".
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sabato 17 luglio 2010

La Bosnia-Herzegovina, occidentalizzata a forza da Washington a suon di bombe e processi (non soltanto contro il “suicida” Milosevic e o il catturato Karadzic all’Aja, ma nella stessa Roma con la sconcertante condanna all’ergastolo, nel 2003, di un pilota serbo-bosniaco, Emir Sisic, colpevole di aver difeso la sua terra abbattendo un elicottero-intruso della Ce in zona di guerra) e “normalizzata” con i vergognosi accordi di Dayton, è una Federazione-mostro. L'intervento atlantico nel Paese ha infatti instaurato una fragilissima unione federale tra le nazioni serba, croata e islamica, imponendo quest'ultima componente con i suoi vertici alla guida della Federazione (come nel caso, più noto, del Kosovo): il risultato è l'aggravamento della tensione etnico-sociale tra le tre componenti federali.
I governanti islamici, sostenuti dai contingenti militari atlantici, non cessano di costringere le altre due repubbliche, quella Serpska e quella Croata, ad una progressiva accettazione delle direttive “normalizzatrici” (naturalmente, la bandierina paradisiaca sventolata è quella dell’adesione all’Ue…) che, in soldoni, hanno come risultato la progressiva penetrazione di Sarajevo negli affari pubblici e religiosi serbi o croati. Ad esempio, la regione di Banja Luka, “capitale” serpska, di identità serba e di religione ortodossa, è oggetto di particolare attenzioni islamico-occidentali, con l’imposizione di cittadini di Sarajevo o di fede musulmana negli apparati pubblici: il fiorire di moschee per pochi fedeli tutt’intorno alla città è, inoltre, un evidente prova di dispregio dell’identità serpska. A questo si aggiungano i recenti episodi di terrorismo contro stazioni di polizia, messi in atto dalle frange integraliste islamiche in forza di un’autoproclamata vigenza della “legge coranica” nei villaggi serbi dove la N.A.T.O. ha permesso l’insediamento di guerriglieri arabi o mediorientali giunti in Bosnia durante il conflitto civile del 1992-1995 e che allora si dichiararono seguaci di “al-Qaida”.
Il laboratorio-Bosnia, creato in provetta dagli occidentali (esattamente come fecero con il Libano “unito” ma ferocemente diviso tra le sue componenti…), per asseverare l’idea di uno Stato multiculturale è, insomma, naturalmente, fallito.
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domenica 11 luglio 2010

Da diversi secoli, uomini dell’Alta Finanza hanno propugnato la creazione di Banche Centrali, prefigurandosi l’obiettivo (oggi realizzato) di destinare ad esse le decisioni economiche, un tempo affidate ad autorità politiche, legittimate dalla volontà popolare. L’ingenuità o, più spesso, la corruzione, degli uomini politici di quasi tutti gli Stati, ha permesso l’istituzione delle stesse; dove personaggi pubblici hanno fatto resistenza, le lobby hanno orchestrato crisi finanziarie, tali da costringerli ad acconsentire alle loro richieste.
Tali Banche hanno, nel tempo, assunto tutta una serie di poteri fondamentali per l'andamento economico di un Paese: l’erogazione della moneta, la disposizione del tasso di sconto, del rapporto di cambio e del livello della circolazione monetaria interna, tutte decisioni prima di competenza dei Governi Nazionali.
Fin quando le Banche Centrali erano di proprietà statale, i loro interessi coincidevano (o almeno avrebbero dovuto coincidere) con quelli del popolo e della nazione. Con la privatizzazione delle Banche Centrali, tutti i poteri decisioniali in materia di politica monetaria sono passati nelle mani di organizzazioni private, governate da grandi investitori, di certo più interessati al proprio personale tornaconto che a perpretare qualsiasi forma di Giustizia Sociale.
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mercoledì 7 luglio 2010


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martedì 6 luglio 2010

L’Europa nella sua lunga storia ha visto stravolgere i suoi confini, i suoi popoli, i suoi stati e le sue razze. Immigrazioni esterne, ideologie e rivoluzioni hanno cambiato radicalmente i suoi sistemi politici, tanto da intaccare la sua stessa identità: quella di “contenitore” universale di tanti popoli, diversi nel loro particolare, ma uniti da una radice comune e dallo stesso modo di intendere la società e, in un certo senso, la vita.
L’esempio di Roma torna come sempre utile a comprendere questo aspetto della cultura europea. Durante l'Impero romano esisteva un universale, costituito dalla sua legge alla quale i popoli dovevano assoggettarsi, ma al contempo permaneva il “particolare”, cioè quegli usi, costumi, lingue e credenze diversi, propri delle varie comunità sottomesse. Il Pantheon ne è l’esempio per eccellenza: lì venivano riposti i culti di tutti i popoli dell’impero.
Caduta Roma, L’Europa dei Carolingi, degli Hohenstaufen, degli Svevia, degli Asburgo ripropose l’idea imperiale propriamente romana e, come nuovo collante, l’universalismo cristiano.
Come si è detto fu un cambiamento di mentalità a creare qualcosa di diverso. Già durante il medioevo iniziò quel processo di “individualismo collettivo” che portò alla nascita delle nazioni e più tardi all’assolutismo. Ciò che mutò fu proprio quello di cui si parlava all’inizio: da quel momento il “particolare” iniziò ad identificarsi come “universale”. Si irrigidirono i confini, si imposero le lingue (il francese ad es. è il dialetto parigino) e nacquero addirittura le chiese nazionali (gallicana, anglicana etc..).
Arrivando all’epoca moderna è chiaro come questo fattore disgregante fu cavalcato da chi, specialmente nel Risorgimento, aveva interesse che morissero quegli stati tradizionali, nemici giurati della massoneria. Per farla breve i nazionalismi hanno diviso, in modo irrevocabile, ciò che fu unito anche nella diversità, imposto un’identità particolare ai popoli sottomessi (l’Italia ne è l’esempio maggiore), appiattendo e molte volte non permettendo ciò che è la vera ricchezza dei popoli: i loro costumi, le loro lingue e le loro tradizioni.
Oggi, quando anche le identità nazionali faticano a sopravvivere, vi è una nuova necessità di ritorno alle tradizioni dei popoli europei: riconoscere le differenze e tutelarle sarà l’unico modo per combattere il nihil mondialista e ricreare un nuovo ordine europeo dove i popoli che esistono siano riconosciuti per quello che sono, dove questi popoli, fratelli perché figli, si riconoscano in un’origine e un destino comune, universale, chiamato EUROPA!
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