Lotta Europea

Lotta Europea

venerdì 30 settembre 2011

Son passati quattro secoli e qualche decennio da quel 1570 anno in cui i turchi della grande dinastia ottomana strapparono Cipro alla Serenissima e nell’anno successivo avvenne una delle battaglie più importanti della storia:Lepanto. Allora il sultano era Selim II e il papa era PioV,il promotore della Lega Santa. Sembra anacronistico parlare di sultanati e di Lega Santa oggi in una Turchia ormai purgata da ogni fanatismo religioso in quanto repubblica democratica. Invece il cosiddetto neo-ottomanismo sembra essere una realtà che si sta affermando negli ultimi mesi. La corrente neo-ottomanista si rifà a due principi, l’affinità culturale dei popoli arabi e la tendenza ad assumere un ruolo egemonico nel mondo arabo. Ambedue i principi sono stati la base della politica estera di Ankara negli ultimi tempi. Il premier Recep Tayyib Erdogan che oggi si propone come antagonista di Israele in merito alla questione palestinese,è lo stesso che nel 2003 difese Israele dagli attacchi di Saddam,e che nel 2006 ricevette il premio dalla lobby ebraica americana Anti Defamation League pronunciando un vibrante discorso contro l’antisemitismo e di condanna della shoah. Questo contraddittorio personaggio poche ore fa ha affermato di voler impedire a Cipro di effettuare insieme ad Israele delle trivellazioni per il gas al largo dell’isola, provocando così un incidente diplomatico che rischia di allontanare la Turchia da qualsiasi annessione con la CE.e di incrinare i rapporti diplomatici con l’Europa. Emerge quindi la volontà di fare della Turchia l’alfiere dei popoli arabi, nonché il paese leader della zona in vista dello “spontaneo” mutamento di regime in Siria. Il conflitto diplomatico in atto con Israele non è quindi che una maschera utile a questo compito, che porterà in dote i popoli usciti dalle recenti primavere arabe (una tenaglia geopolitica contro l’Europa), allo stesso modo la repressione dei curdi con raid aerei fino nel nord Iraq non è che un segnale del cambio di strategia e del passaggio di consegne degli amici americani per il controllo di quella porzione di medio oriente. Forte e pericolosa come lo era nel 1500 si sta forse riproponendo uno scenario storico come quello della battaglia di Lepanto? “La erba cativa non mor mai!”così avrebbe esclamato un veneziano in dialetto.”Saggezza popolare!”potremmo esclamare noi.
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giovedì 8 settembre 2011

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martedì 6 settembre 2011

Come con ogni crisi che si rispetti, la classe politica si sta prodigando al meglio per fermare il tracollo economico.
Mentre una mano liberalizza, l’altra cava il sangue dalle rape. I tentacoli dello Stato dedito all’usura fanno quello che possono.
E se per ridurre il debito pubblico italiano, ormai al 120% del PIL, causato da mille sprechi e da un sistema ingiusto di creazione del debito, si deve annuire ai soliti diktat dei detentori del credito (ovviamente non si parla dei cittadini), allora via alla nuova ondata di liberalizzazioni. Anziché la casta, gli sprechi e il signoraggio, la mannaia cadrà sulle pensioni e sul lavoro, in poche parole sul popolo.
Proprio l’attacco al lavoro non poteva mancare nei punti fondamentali al vaglio delle camere per la manovra economica. Già reso fin troppo “flessibile”, ormai da anni, con tutte le conseguenze del caso che le generazioni precarie stanno subendo, da quando il mercato umano è stato adeguato allo sciacallaggio del liberismo.
Non basta, non si può intralciare il mercato!
Lo statuto dei lavoratori si potrà aggirare con un semplice accordo tra le aziende e i sindacati territoriali (i veri maiali di questa storia), anche riguardo disposizioni contrarie ai contratti collettivi di categoria. Il licenziamento senza giusta causa sarà così di nuovo possibile in faccia a secoli di lotte dei lavoratori.
Nel frattempo si richiede l’austerità, il contributo di solidarietà, la riduzione dei consumi, la castità (i figli costano troppo) e di continuare a fare quello che si è sempre fatto: tenere giù la testa.
Come se la colpa fosse del popolo. O forse è davvero così?
Da anni si sente starnazzare slogan del tipo: “La vostra crisi non la pagheremo noi!”
Mai cosa più stupida e falsa! Siamo noi la causa di questa crisi.
Non le banche. Non il capitalismo finanziario che genera e brucia milioni di dollari dal nulla, che vive di continui collassi a causa del paradosso intrinseco alla sua natura, che cade e si rialza sempre, più vorace di prima.
Perché con la testa chinata sull’Iphone 4, acquistato in comodato d’uso, oppure seduti in un’automobile che non ci potremmo permettere, storditi in una discoteca o dispersi nei nuovissimi centri commerciali, siamo noi le batterie umane che alimentano la truffa del sistema.
E se non si vuole immaginare un destino diverso, non è giusto piangere il presente.
Gli eventi, probabilmente drastici che accompagneranno i prossimi anni, saranno l’occasione per molti di tornare indietro a quella scelta, quando hanno barattato la libertà e l’orgoglio in cambio di mille cose inutili e persino, magari, raggiungere la lotta di liberazione.
Dietro quel fronte troveranno quelli come noi che un altro destino lo immaginano, lo edificano, si preparano a difenderlo.
Non lo sognano sospirando come gli schiavi, lo pretendono.
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