In occasione dell'uscita del numero 12 di Lotta Europea "Terra!", dedicato in senso lato ai vari temi legati all'ambiente e alla Natura, pubblichiamo queste brevi riflessioni sul significato e sulle strategie del movimento ambientalista.
Da quando ne
hanno parlato i Cinque Stelle, i temi (o almeno i termini) della decrescita
felice o dello sviluppo consapevole sono entrati anche nel dibattito politico
italiano e, pur con la consueta banalizzazione e semplificazione, sono arrivati
anche alle orecchie e alla bocca dell’uomo comune, convinto senza opporre
resistenza della necessità impellente di darsi alla raccolta differenziata,
salvare le più sconosciute specie animali della foresta Amazzonica e fermare il
surriscaldamento globale. Chi passa le sue giornate seduto davanti al
televisore o allo schermo del PC, è bombardato continuamente da notizie
allarmanti sulla proliferazione di nuove o rinnovate malattie (la “pandemia”
torna ciclicamente ad occupare i titoli di testa dei TG) o sullo scioglimento
dei ghiacciai e la conseguente inondazione delle città costiere (perché si sa
che non ci sono più le mezze stagioni, ma non sa che l’espansione senza
precedenti del virus Ebola è stata (anche) colpa dell’OMS che avrebbe ritardato
di due mesi l’annuncio dell’emergenza per non interferire con gli interessi economici dei paesi
interessati e con il pellegrinaggio ottobrino vero la Mecca o che la superficie
dell’Artico coperta dai ghiacci è in costante aumento da qualche anno. Per
farla breve, ignora che, catastrofismi a parte, l’umanità non è (ancora) in via
di estinzione.
O che le
risorse energetiche non sono in via di esaurimento, ma che, al contrario, secondo l’Agenzia Internazionale
dell’Energia la capacità di cisterne e magazzini di stoccaggio del greggio
U.S.A. è in esaurimento. È proprio la presunta penuria di risorse, materie
prime o perfino di superficie terreste, il punto di partenza di ogni allarmismo
ecologico, in nome di un rinnovato malthusianismo. Il riferimento è a Thomas Robert Malthus, che
già nel 1798 denunciava la penuria delle risorse, imputabile,
essenzialmente al diverso tasso di crescita della popolazione (in progressione
geometrica: 2-4-8-16-32-64) e delle risorse (in progressione aritmetica:
2-3-4-5-6-7). Una teoria di cui non è difficile smontare l’impianto, basata
com’è (oltre che su calcoli e statistiche approssimativi, incompleti ed
inesatti) su una concezione di sviluppo puramente quantitativa, che non tiene
conto delle innovazioni che ogni volta cambiano strutturalmente il sistema che
finisce per non obbedire più alle regole del precedente. Per dirlo in maniera
più semplice, per aumentare i prodotti agricoli, non si è costretti
necessariamente coltivare nuovi appezzamenti fino all’esaurimento della
superficie terrestre, dato che le innovazioni tecnologiche sono in grado di
aumentare la produttività di quanto già messo a coltura. Anche la storia ha
dimostrato quanto Malthus sbagliasse: basti pensare che aveva previsto un
rapido declino per le nascenti colonie statunitensi, sommerse dai continui
nuovi arrivi di europei…
Se le idee
malthusiane tornano ciclicamente in voga c’è però una ragione profonda, che va
al di là della loro dimostrabilità o della loro validità economica-filosofica
ed è legata al passo successivo compiuto dall’economista inglese quando scrive
che “siamo obbligati […] a ripudiare il diritto di proteggere i poveri. A
questo fine dovrei proporre un regolamento da applicare […] che nessun bambino
nato […] a due anni di distanza dalla data legge possa ricevere alcuna
assistenza. […] L’infante è, in termini di paragone, di poco valore per la
società, in quanto altri ne prenderanno immediatamente il posto. Tutti i
bambini nati, oltre il numero stabilito per mantenere il livello desiderato,
sono destinati a perire, a meno che non venga fatto loro spazio con la morte di
adulti. Dobbiamo facilitare le tendenze della natura a prevedere questa
mortalità, invece di sforzarci stupidamente e vanamente ad impedirle; invece di
raccomandare l’igiene ai poveri, dovremmo incoraggiare abitudini differenti.
[…] Nelle nostre città dobbiamo fare strade più piccole, case più affollate e
sollecitare il ritorno della peste”. Non sarebbe stata la peste, ma la Grande
Carestia Irlandese del 1845-1849 a mettere in atto quanto auspicato da Malthus,
sfoltendo la popolazione dell’isola con un milione di morti e obbligando i
superstiti a cercare fortuna in Nord America.
Non è
necessario dimostrare come tali idee fungano da giustificazione filosofica per
mantenere inalterate le diseguaglianze sociali: la povertà è ineluttabile e i
poveri sono tali semplicemente a causa del loro numero eccessivo per le risorse
a disposizione, motivo per cui si rende necessario porre un freno all’aumento
della popolazione per evitare il depauperamento della ricchezza globale.
Un’ottica tetra, per cui l’uomo non è altro che un cancro per la natura, da
estirpare per ristabilire l’ordine dell’ecosistema Terra. Le derive idolatriche
dell’ecologismo moderno, accumunate dalla riduzione dell’uomo a livello animale
o subanimale, altro non sono che forme meno appariscenti, portabili in società,
della stessa concezione di chi, lo abbiamo visto, sognava l’avvento della peste
per decimare l’umanità. Magari nascondendo i propri sogni occulti dietro
l’immagine rassicurante di un affettuoso panda, come quello del WWF,
un’organizzazione che vanta un bilancio di decine di milioni di dollari e
lavora per la Banca Mondiale, pressando i paesi in via di
sviluppo a finanziare unicamente i progetti infrastrutturali a basso impatto
ambientale, imprigionandoli nel loro stato di sottosviluppo. O addirittura
armando i governi per difendere determinate specie animali: il Guardian ha in
passato rivelato che le forze armate dello Zimbabwe, rifornite dal WWF di armi
e mezzi di trasporto, hanno ucciso diverse decine di bracconieri per difendere
i rinoceronti neri, le cui vite erano evidentemente da considerarsi più
importanti di quelle di svariati esseri umani, per quanto criminali.
Vicepresidente dello stesso WWF è stato un tempo Luc Hoffman, comandante
dell’Ordine dell’Arca d’Oro per la “dedizione e la straordinaria generosità a
favore della conservazione della natura e per il ruolo svolto nell’ambito delle
più influenti organizzazioni ecologiste del mondo”, nonché proprietario di
quell’impianto Icmesa di Seveso, colpevole dell’emissione di nubi di diossina:
l’ennesima prova di come quella ambientalista non sia altro che una maschera,
indossata alla bisogna dagli uomini delle maggiori lobbies e della nobiltà
europea per inseguire i propri interessi finanziari e geostrategici. Sarebbe
lunga la lista di questi nominativi: basti citare, tra i tanti possibili, Robert
Anderson, contemporaneamente presidente della Atlantic Richfield Oil
Corporation (impegnata nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel mare
del Nord) e principale finanziatore della “Giornata della Terra” e
dell’associazione “Friends of the Earth” (200mila dollari ciascuno nel 1970), o
il re Filippo Duca di Edimburgo, fondatore insieme al principe Bernardo
d’Olanda proprio del WWF. Lo stesso Filippo affermò una volta che, se fosse
rinato, gli sarebbe piaciuto “essere un virus letale come quello dell’AIDS, per
contribuire a risolvere il problema della sovrapposizione”.
Innocui
movimenti pacifisti, strenui difensori dei diritti degli animali e militanti
vegani altro non sono che le forze gnostiche che tornano alla luce con vesti
nuove che nascondo a malapena, almeno ad un occhio allenato, gli eterni culti
matriarcali della Madre Terra: esprimono la ribellione alla concezione
tradizionale dell’uomo, fatto tanto di Natura, quanto di Intelligenza e di Anima,
reso padrone della Terra e dei suoi frutti. A tal proposito, come spesso
accade, la tradizione cristiana si pone a prosecuzione e compimento di quella
greco-romana, come dimostrato, ad esempio, dalle parole di Lattanzio, apologeta
cresciuto in ambiente pagano: "Gli stoici affermano che il mondo è
stato fatto per l’uomo, e con ragione, perché gli uomini godono di tutti i beni
che esso racchiude in sé. Ma perché l’uomo stesso sia stato creato e quale
utilità abbia da lui quella artista costruttrice che è la provvidenza, gli
stoici non lo hanno spiegato. Voglio dunque esporre quell’importantissima
verità che mai i filosofi, che pur hanno detto il vero, hanno potuto scoprire,
perché non seppero dedurre fino in fondo le conseguenze. Il mondo è stato
creato da Dio, perché nascesse l’uomo. Gli uomini sono stati creati, perché
riconoscessero Dio come padre: in ciò consiste la sapienza. Essi riconoscono
Dio per onorarlo: in ciò consiste la giustizia. Essi lo onorano, per riceverne
il premio dell’immortalità. Ricevono poi il premio dell’immortalità, per
servire Dio in eterno. Vedi dunque come tutto è concatenato: il principio con
il mezzo, e il mezzo con la fine?"
L’uomo fa
parte di quell’infinita varietà di cose, complessa ed unitaria, che risponde al
nome di Natura e che, perché opera di Dio o perché principio di sé, ha la vita
in sé. Ma a differenziare l’uomo dalle pietre, dalle piante e dagli animali c’è
la sua intelligenza, compresi gli afflati per l’ignoto non consapevole al di là
della sua portata, la commozione spirituale e tutti i movimenti psicologici: è
questo l’elemento discriminante della natura umana, che investe anche quei
fenomeni propri di tutti gli esseri viventi, per cui, ad esempio, la continuità
della specie è nell’uomo illuminata dall’ideale dell’amore. E c’è infine
l’anima, il suggello di Dio, che obbliga l’uomo ad una dimensione teologica
della sua esistenza che non può essere circoscritta alla storia, al visibile e
al contingente.
Sono queste
tre dimensioni, tra loro intimamente correlate, a fare dell’uomo un Uomo.
Qualsiasi pretesa di reductio ad unum (l’uomo a una dimensione, direbbe
Marcuse) ha conseguenze drammatiche ed in ultima istanza nega la realtà più
profonda dell’individuo. Se l’uomo occidentale appare prigioniero della
Macchina che con la sua intelligenza ha creato per vivere con maggiore
comodità, la sua liberazione non consiste in un ideologico ritorno alla natura
inteso come spoliazione di quanto c’è di superiore in lui: per farla semplice,
un gatto o un cane non hanno il suo stesso valore, come vagheggiato dagli
ecologisti militanti.
Occorre al
contrario che l’uomo riscopra la sua dimensione ed il suo ruolo che è quello di
governo e di controllo tanto della macchina quanto della Natura, che deve e può
essere rispettata ma che allo stesso tempo può e deve essere sfruttata per
raggiungere felicità e benessere. È necessario ritornare a livelli di autonomia
dell’uomo rispetto all’ambiente artefatto che le macchine hanno costruito per
rendere accettabile un territorio ed un’esistenza da tempo avviati alla
decadenza, a livelli di equilibrio tra persona e ambiente, nel quale le
macchine abbiano un posto sussidiario e l’Uomo sia il fine e non il mezzo delle
azioni.
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