La Costa d’Avorio ha un nuovo presidente: le milizie di Ouattara, dopo 10 anni di tentativi, sono riusciti a spodestare il presidente uscente Gbagbo. Dopo Ben Ali, dopo Mubarak, in attesa della capitolazione di Gheddafi, l’Occidente ha salutato con entusiasmo un nuovo regime change: nei media occidentali, il vincitore dello scontro è salutato come il presidente “democratically elected” e “internationally recognized”, lo sconfitto come un volgare tiranno al potere da 40 anni. Ma Ouattara è anche l’ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale, sposato ad una bianca e bionda Dominique niente meno che dall’allora sindaco di Neuilly sur Seine Nicolas Sarkozy: dettaglio che ci incuriosisce e ci spinge ad approfondire la questione. Il 28 novembre scorso i cittadini ivoriani sono stati chiamati alle urne per scegliere il nuovo presidente, ma i risultati delle elezioni sono stati, quanto meno, contesi: la Commissione ONU chiamata a vigilare sul buon andamento delle procedure di voto, favorevole a Ouattara ha proclamato quest’ultimo presidente, mentre la Corte Costituzionale, favorevole a Gbagbo, ha confermato il presidente uscente, invalidando una serie di voti frutto di brogli e intimidazioni. Il caos totale: entrambi i contendenti si sono autoproclamati vincitori e hanno giurato da presidente in due cerimonie parallele. I sinceri amici della democrazia africana non potevano non intervenire a difesa della volontà popolare calpestata. E sono intervenuti nella contesa in concerto con il loro pupillo Ouattara. Quest’ultimo, infatti, ha predisposto il blocco delle esportazioni di cacao (la Costa d’Avorio produce il 40% del cacao consumato nel mondo), subito assecondato dall’Unione Europea che ha proclamato l’embargo economico contro la Costa d’Avorio. Ouattara è anche riuscito a ottenere che la Banca Centrale dell’Africa Occidentale congelasse le linee di credito del presidente. Ma la morsa economica non raggiungeva i risultati sperati, così gli uomini di Ouattara si sono mossi verso la capitale e il palazzo presidenziale, forti dell’appoggio militare degli elicotteri francesi ed onusiani e dei 400 milioni di dollari forniti dall’ONU. Fino a martedì scorso, quando, con la cacciata di Gbagbo, la Costa d’Avorio ha avuto finalmente il suo presidente eletto secondo i canoni democratici. E con almeno 800 (forse 1000) cadaveri di civili, uccisi a colpi di machete, e un milione di persone in fuga dal paese. Ma cosa aveva fatto Gbagbo per muovere contro di sé le accuse (e i missili) dell’Occidente e della Francia in particolare? Si era spogliato degli abiti di valletto di corte che gli ex coloni francesi gli avevano cucito addosso: una volta eletto, non corse a Parigi a baciare l’anello di Chirac, ma preferì recarsi in Italia a stringere accordi economici (e il presidente francese reagì ordinando ai suoi caccia di distruggere tutta l’aviazione ivoriana a terra). Ma soprattutto, durante la sua presidenza, ha assegnato appalti multimilionari non ai soliti francesi, ma a società di cinesi. Gravi errori che gli sono costati la poltrona, e che hanno inflitto al paese africano una sanguinosa guerra civile eterodiretta.
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