
Dal racconto mitico emerge la concezione tradizionale dell'uomo e del suo ruolo nell'universo. Cerchiamo di spiegare meglio questo concetto.
L'uomo tradizionale, sia che abitasse nella polis greca, che nella Roma imperiale o, ancora più tardi, in un castello medievale, era (e sapeva di essere) inserito, sin dalla nascita, in un ordine fisico e metafisico, che non aveva creato lui e che, pertanto, non era alla sua mercé. La sua intelligenza e la sua razionalità, che lo innalzavano ad un livello superiore rispetto alla natura circostante, erano considerate doni di un dio o doni di Dio perché potesse seguire la sua natura umana, obbedire alla natura delle cose (la legge naturale), entrare in rapporto armonico con l'essere universale, aderire umilmente ad una Verità e ad una Legge a lui superiori, il cui padrone non è l'uomo ma Dio (o gli dei).
Prometeo, però, non rimase incatenato in eterno, com'era nei piani di Zeus perché, dopo tremila anni, Eracle trafisse con una freccia l'aquila e liberò il titano, spezzandone le catene.
E' quanto successo in Europa con la rivoluzione luterana e protestante, con quella illuminista e con quella marxista che hanno rovesciato la visione del mondo, abolendo ogni autorità superiore all'individuo e divinizzando l'essere umano, chiamato a salvarsi da solo, senza intermediazione alcuna. E' la nascita dell'uomo moderno, che rifiuta di misurarsi sulle cose per farsi invece loro misura. L'intelligenza non è più lo strumento per indagare la realtà e il creato, ma per dominarla e ri-crearla. Nessuna legge superiore imbriglia più la volontà ("volere è potere") e tutto diventa lecito in quanto frutto di libertà.
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