Il 26 ottobre scorso il Parlamento georgiano ha ratificato la nomina del nuovo presidente del Consiglio, il magnate e imprenditore Bidzina Ivanishvili, vincitore delle elezioni tenutesi il 1 ottobre: un vero e proprio burattino nelle mani degli Stati Uniti, che ha subito annunciato che il suo governo “svilupperà le istituzioni democratiche e stabilirà la legge del diritto” e che il suo primo viaggio internazionale sarà a Washington. Le parole d'ordine con cui ogni governo filooccidentale si presenta agli occhi del pubblico occidentale e dei salotti buoni da vent'anni a questa parte, contro il "tiranno" Putin e la sua "feroce dittatura". Intanto la Clinton si è precipitata al telefono per congratularsi di persona e per discutere "il futuro della cooperazione tra Georgia e Stati Uniti.
E' dai tempi della Rivoluzione delle Rose che Tbilisi ha voltato le spalle a Mosca per abbracciare il capitalismo occidentale e gonfiare i propri fatturati e le proprie casse di dollari: un duro colpo alla Russia che si è trovata così isolata rispetto all'Europa, tagliata fuori dalle rotte energetiche grazie alla costruzione dell'ormai famigerato oleodotto TBC, che attraversa lo stato caucasico.
Un altro punto a favore degli U.S.A.
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lunedì 29 ottobre 2012
martedì 2 ottobre 2012
Un colpo di Stato giustificato alla bell’e meglio, la separazione del paese, disordini e massacri attribuiti ai jihadisti , ed ora l’epilogo o l’inizio di una storia sentita già troppe volte: l’intervento militare in Mali.
La nostra attenzione per la geopolitica africana, dove si combattono, neanche troppo velatamente, gli opposti interessi cinesi e americani, e per la situazione maliana in particolare, non è nuova: ce ne siamo occupati da tempo, per lo meno da quando la situazione è precipitata. E non ci siamo sbagliati, anche se la previsione non era difficile.
Per ristabilire “l’ordine” in Mali verranno dispiegate forza africane, il cui operato, senza aiuti, avrà scarsa efficacia: per questo verranno coadiuvate nelle operazioni militari dai francesi, cui spetterà la parte del leone nella ricostruzione e nella gestione del paese, aiutati a loro volta da Gran Bretagna, Polonia e Germania, con l’appoggio politico di Italia e Spagna (che non possono offrire altro). Per il momento, Russia e Cina hanno promesso di non apporre il veto alla prossima risoluzione ONU.
Vedremo come andrà: il Sahel è un piatto ricco, e tutti vorranno saziarcisi.
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