"Se vincerò le elezioni non permetterò che sia creato uno Stato palestinese", "Io e i miei amici del Likud preserveremo l'unità di Gerusalemme nella sua integralità. Continueremo a fortificare Gerusalemme perché non la si possa dividere e perché resti sempre unificata": indietro nei sondaggi, per raccattare i voti degli indecisi sono queste le promesse messe in campo da Benjamin Netanyahu, che da Har Homa (uno degli insediamenti sorti intorno a Gerusalemme Est e considerato illegale da gran parte della comunità internazionale) ha anche annunciato nuovi insediamenti intorno alla capitale
Si voterà domani e con lo spettro dell'ISIS alle porte e le timide aperture americane a Teheran, era facile prevedere che il premier in carica non suonasse le corde della sicurezza e della politica estera per presentarsi come l'unico baluardo di Israele contro la minaccia islamista. Il problema, semmai, è che a guidare la probabilmente vincente coalizione dell'Unione Sionista c'è Isaac Herzog, che, nonostante l'appoggio di Shimon Peres ed Ehud Barak (che lo ha definito "saggio, esperto e responsabile") e nonostante prometta di rimettere in moto il processo di pace con i palestinesi, appartiene a quell'establishment che negli ultimi 70 non è riuscita a raggiungere questa pace per la quale non si è mai realmente combattuta: figlio di Chaim Herzog (direttore dei servizi segreti militari tra il 1959 e il 1962, governatore della Cisgiordania, ambasciatore ed infine presidente dal 1983 al 1993), nipote di Yitzhak HaLevi Herzog (il nonno è stato rabbino capo d'Irlanda e poi del mandato britannico in Palestina) e di Abba Eban (lo zio è stato ministro degli Esteri con Golda Meir negli anni delle guerre dei Sei Giorni e dello Yom Kippur), è già stato ministro del Welfare, della Diaspora, dell'Abitazione e del Turismo nonché sottosegretario di governo con lo stesso Ehud Barak.
Speriamo di sbagliarci, ma non è difficile prevedere una ripresa delle tensioni con i Palestinesi.
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lunedì 16 marzo 2015
venerdì 13 marzo 2015
Pechino ha recentemente comunicato ufficialmente le cifre della spesa militare previste per il 2015: 150 miliardi di dollari (a cui vanno sommati i denari spesi per i settori della ricerca e sviluppo e della polizia paramilitare, top secret a Pechino), con un incremento del 10,1% rispetto all'anno precedente (132 miliardi $). Si registra dunque una flessione nel trend di crescita (passata dal +12,2% del 2014 sul 2013 all'attuale +10,1%) che, se letta parallelamente al diminuito tasso di crescita del PIL stimato a +7% nell'anno in corso (era +7,4% nel 2014 e +7,7 nel 2013), non basta a tranquillizzare gli USA, ancora gli unici antagonisti in grado di contrastare l'ascesa militare ed economica del dragone, né i suoi avversari regionali nel Mar Cinese Orientale. Tanto più se si considera che i maggiori investimenti saranno effettuati nell'ammodernamento della marina: la vulnerabilità rappresentata dai 14000 chiliometri della costa orientale (sfruttata dai giapponesi nel secondo conflitto mondiale e dagli inglesi prima di loro) non può certo al momento dirsi coperta da una flotta che possiede all'attivo una sola portaerei (prodotta nel 1998 in Ucraina ed entrata in funzione nel 2012).
Altro settore di sviluppo è quello delle capacità cibernetiche e della tecnologia satellitare. A tal proposito, non passano inosservate le reciproche accuse ed i reciproci casi di ciberspionaggio con gli USA ed il pià recente arresto di due operai della base militari di Dalian, accusati di aver venduto segreti militari a spie straniere. Due vicende che, nella loro diversità, mostrano la vulnerabilità dello spionaggio e del controspionaggio, che ha spinto il governo ad adottare nuove misure legislative, che, sfruttando l'allarme terrorismo, colpiscono i propri cittadini sorpresi a collaborare con organizzazioni o individui stranieri che conducono attività di intelligence.
A proposito di terrorismo. Nessuno si meravigli quando si parlerà di Isis anche in territorio cinese: i contatti tra gli uiguri e i veterani della guerra in Siria sono già stati denunciati da Pechino e la regione dello Xinjiang è sufficientemente ricca di petrolio perché la presenza di cellule terroristiche sia sfruttata per giustificare la presenza dell'esercito ed il rinnovato controllo governativo sul territorio, proprio come accade più ad Est con lo Stato Islamico.
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