Haiti: un sisma, duecentomila morti. Ma anche, cinicamente, la possibilità, per gli U.S.A., di spazzare il proprio “cortile di casa”.
“Questo è un momento che richiede la leadership dell’America”, ha affermato il presidente Obama. Tre gli obiettivi principali del premio Nobel per la pace.
Primo: salvaguardare la propria immagine e il proprio appeal, già in crisi, evitando di farsi trovare impreparato a fronteggiare le emergenze umanitarie, come successo, al contrario, al suo predecessore G. W. Bush con lo tsunami del 2004 e l’uragano Katrina l’anno successivo.
Secondo: salvaguardare la sua immagine, molto retorica e poco sostanziale, dell’America come potenza capace di esprimere la propria egemonia non attraverso l’esibizione e l’impiego della forza, ma attraverso un approccio multilaterale alle questioni.
Terzo e più importante obiettivo: insediarsi sull’isola caraibica, di fatto non governata da nessuno, prima che lo faccia qualche stato nemico. Uno su tutti: il Venezuela di Chàvez, che, attraverso la fornitura energetica e la progettazione di infrastrutture, mira a spingere Haiti nell’orbita dell’A.L.B.A., l’alleanza delle forze anti-statunitensi dell’America Latina (Bolivia, Venezuela, Cuba, Nicaragua, Honduras, Ecuador e altri piccoli stati caraibici).
In questa partita, però, il maggior concorrente degli U.S.A. è il Brasile: ad Haiti, infatti, da sei anni, sono schierati 1.266 soldati inviati da Brasilia sia per ristabilire l’ordine nell’isola all’interno di un programma di stabilizzazione voluto dall’O.N.U., che per affermare con forza le proprie ambizioni di potenza non solo sudamericana ma proiettata anche verso i Caraibi e l’America centrale, in un rapporto di cooperazione/competizione con gli Stati Uniti, da cui pretende un trattamento paritario.
“Questo è un momento che richiede la leadership dell’America”, ha affermato il presidente Obama. Tre gli obiettivi principali del premio Nobel per la pace.
Primo: salvaguardare la propria immagine e il proprio appeal, già in crisi, evitando di farsi trovare impreparato a fronteggiare le emergenze umanitarie, come successo, al contrario, al suo predecessore G. W. Bush con lo tsunami del 2004 e l’uragano Katrina l’anno successivo.
Secondo: salvaguardare la sua immagine, molto retorica e poco sostanziale, dell’America come potenza capace di esprimere la propria egemonia non attraverso l’esibizione e l’impiego della forza, ma attraverso un approccio multilaterale alle questioni.
Terzo e più importante obiettivo: insediarsi sull’isola caraibica, di fatto non governata da nessuno, prima che lo faccia qualche stato nemico. Uno su tutti: il Venezuela di Chàvez, che, attraverso la fornitura energetica e la progettazione di infrastrutture, mira a spingere Haiti nell’orbita dell’A.L.B.A., l’alleanza delle forze anti-statunitensi dell’America Latina (Bolivia, Venezuela, Cuba, Nicaragua, Honduras, Ecuador e altri piccoli stati caraibici).
In questa partita, però, il maggior concorrente degli U.S.A. è il Brasile: ad Haiti, infatti, da sei anni, sono schierati 1.266 soldati inviati da Brasilia sia per ristabilire l’ordine nell’isola all’interno di un programma di stabilizzazione voluto dall’O.N.U., che per affermare con forza le proprie ambizioni di potenza non solo sudamericana ma proiettata anche verso i Caraibi e l’America centrale, in un rapporto di cooperazione/competizione con gli Stati Uniti, da cui pretende un trattamento paritario.
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