La questione tibetana e il caso Google hanno suscitato nell'opinione pubblica che la convinzione che Stati Uniti e Cina siano sempre più ai ferri corti.
Ma la verità profonda non è questa, tutt'altro.
Dagli anni '90 la Cina ha improntato la propria frenetica crescita economica esclusivamente sulle esportazioni, rendendosi, di conseguenza, una potenza vulnerabile, le cui entrate dipendono dalla condizione degli acquirenti: infatti, se gli U.S.A., i maggiori importatori di prodotti made in China, entrassero in crisi e la loro domanda si contraesse, la crisi si riverserebbe automaticamente sulla Cina.
Allo stesso tempo, la Cina ha acquistato negli ultimi anni ingenti quote del debito pubblico americano arrivando a rappresentare il maggiore creditore degli U.S.A.: come per incanto Pechino è scomparsa dalla lista dei Paesi che non rispettano i diritti umani.
Il meccanismo che si è instaurato è dunque di reciproca dipendenza: l'economia cinese dipende dagli acquisti statunitensi, ma, essendo il debito pubblico americano nelle mani degli asiatici, l'economia americana dipende dalla Cina.
Un rapporto economico che si è ultimamente trasformato in politico con la creazione del G2, un tavolo di mediazione bilaterale tra i due Paesi: un rapporto che esclude deliberatamente il Vecchio Continente, segregandolo ad una posizione sempre più marginale nello scacchiere mondiale.
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