venerdì 31 dicembre 2010
Però...
In tutta questa storia c'è un dettaglio che lega il presidente brasiliano Lula, l'ex militante dei PAC Cesare Battisti e l'AD del gruppo FIAT Sergio Marchionne. Un dettaglio che rischia di passare inosservato, ma che forse merita qualche attenzione in più.
Lula sostiene di avere preso la sua decisione, contraria all'estradizione, da mesi, am di averla comunicata solo ora. Perché, questo ritardo? Perché di mezzo c'era una campagna elettorale da portare avanti, con la maggioranza degli elettori favorevoli all'estradizione di Battisi, considerato dai più un semplice e volgare "rapinatore".
Ma ancora di più perché di mezzo c'erano affari da concludere con la FIAT di Marchionne e la trattativa con il partner italiano rischiava di saltare insieme alle relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Per la precisione c'era un impianto produttivo da inaugurare: un investimento da 1770 milioni di dollari (!!!) per produrre 200mila automobili a partire dal 2014.
Ed è per lo stesso motivo che Lula si è detto sicuro che l'Italia non reagirà alla mancata estradizione di Battisti Read More
giovedì 30 dicembre 2010
Ma chi è quest'uomo? Un martire della libertà e della democrazia, come lo dipingono i media occidentali, oppure un ladro e nemico della nazione, secondo l'accusa del governo Putin?
Di origine ebrea, egli ha ha cominciato la sua brillante carriera nel 1990, fondando una banca (la Menatep Banking Group) con la quale, alla caduta dell'URSS ha potuto approfittare delle privatizzazioni messe in atto dal governo di Mosca, acquistando il patrimonio industriale e minerario della nazione, oramai in svendita. L'affare maggiore lo ha concluso nel 1995, comprando il colosso petrolifero Yukos (oggi Gazprom) per la modica cifra di 350 milioni di dollari, a fronte di un valore reale di 15 miliardi di dollari (questa la sua quotazione in borsa): 42 volte di più.
Eppure anche 350 milioni di dollari non sono pochi: chi glieli aveva dati? I Rothschild di Londra. E proprio a uno di loro, Jacob, passò il pacchetto azionario della Yukos in possesso di Khodorkovski, al momento dell'arresto di quest'ultimo: secondo un accordo tra i due, in caso di guai le azioni di Mikhail sarebbero diventate di Jacob, così che Mosca non avrebbe potuto sequestrarle.
Salito al potere, Vladimir Putin ha (ri)nazionalizzato la Yukos restituendola al Paese: oggi è la Gazprom.
Non solo. Nel 2000, quando Putin fu eletto presidente, la Russia aveva un debito di 16,6 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale e di 36 miliardi con il Club dei Creditori di Parigi e Londra, i banchieri privati prestatori agli Stati, egemonizzato, ancora una volta, dai Rohtschild. Il rincaro dei prezzi petroliferi ha consentito a Putin di dirigere una parte dei profitti di Gazprom per estinguere anticipatamente i debiti nazionali (operazione completata nel 2006).
Ha fatto perdere loro soldi. Ha fatto perdere loro la Yukos. Ha fatto perdere il loro uomo. Ecco perché i Rotschild odiano Putin. Ecco perché i media occidentali piangono sul destino di Khodorkovski.
sabato 11 dicembre 2010
mercoledì 1 dicembre 2010
Ma il dato che più colpisce e più dovrebbe fare scandalo in uno stato che si definisce democratico è un altro: quasi la metà dei detenuti nelle patrie galere sono imputati.Ovvero persone sottoposte a misura cautelare e non ancora condannati in via definitiva. Ovvero, a rigor di legge (e di logica) INNOCENTI! 29.986 persone (di questo si tratta, semplicemente di persone) di cui 15mila ancora in attesa del primo giudizio.
Intanto in carcere si continua a morire, di suicidio o, più banalmente, di febbre (è il caso, recente, di Antonio Alibrandi, detenuto a Rebibbia, portato in ospedale solo dopo 10 giorni di febbre a 40°, lontano dai familiari). Si continua ad abitare 23 ore al giorno 10 metri sotto al livello del mare, in una cella senza finestre, con un bagno il cui soffitto è stato realizzato dai carcerati con sacchi neri della spazzatura sostenuti da manici di scopa (a Favignana). Si continua a spendere più di 1 miliardo di euro per un'indagine su Vittorio Emanuele di Savoia (oltretutto assolto) che possa fare pubblicità al PM di turno (in questo caso il celebre, per l'appunto, Woodcock). Si continua a realizzare nuovi posti-letto nelle carceri (2mila contro i 30mila necessari) e a lasciarli inutilizzati per mancanza di personale.
Si continua a ripetere (Alfano, ministro della Giustizia): “Abbiamo seminato bene e continueremo a farlo”.
Complimenti.
lunedì 22 novembre 2010
lunedì 15 novembre 2010
mercoledì 3 novembre 2010
I dirigenti della Symantec, la più grande casa di produzione di antivirus, affermano che per la realizzazione di tale congegno informatico è necessaria una profonda conoscenza informatica. Escludendo quindi l'operato di un singolo hacker,la questione si fa grande e di notevole importanza: chi è l’artefice di tale attacco cibernetico?
Da quanto affermano gli esperti della Symantec, le tracce portano verso lo stato di Israele,per una serie di motivi legati alla criptazione di alcune parole all’interno del virus che mostrerebbero nessi diretti con Gerusalemme.
In attesa dei bombardamenti reali, ci si allena con quelli virtuali.
giovedì 21 ottobre 2010
giovedì 14 ottobre 2010
appartamenti (5 aprile 1999, per esempio, 17 morti),
treni civili (12 aprile 1999, per esempio, 55 morti),
contadini kosovari (14 aprile 1999, per esempio, 75 morti),
televisioni pubbliche (23 aprile 1999, per esempio, 16 morti),
autobus (1 maggio 1999, per esempio, 47 morti),
ambasciate (cinese, per esempio, 3 morti),
carceri (21 maggio 1999, carcere di Pristina, per esempio, 100 morti),
ospedali (31 maggio, ospedale di Surdulica, per esempio, 20 morti),
scudi umani (60 civili kosovari, per esempio, usati come tali dai serbi, si disse, e
nessuno contestò),
scuole (31 maggio 1999 a Novi Pazar, per esempio, 23 bambini),
oltre cinquecento civili, si disse,
indefinite migliaia di militari serbi.
A zero.
Dicasi: a zero.
Un supercappotto.
Altro che un 3-0 a tavolino.
KOSOVO JE SRBIJA Read More
domenica 26 settembre 2010
Fondamentali al raggiungimento dell’obiettivo sono state le minacce di Tel Aviv (“È contro l’interesse israeliano ratificare il Trattato di non proliferazione nucleare, e l’Osservatorio nucleare delle Nazioni Unite sta oltrepassando il suo mandato nel chiederci di farlo”, aveva affermato il capo della Commissione per l’energia atomica di Tel Aviv, Shaul Chorev) e l’intervento degli U.S.A. che hanno chiesto inutilmente il ritiro della mozione per poi invitare i propri alleati ad astenersi o a votare contro la proposta, affermando che essa avrebbe minato gli sforzi in corso per bandire le armi nucleari dal Vicino Oriente e avrebbe costituito un messaggio negativo per i negoziati diretti in corso tra israeliani e palestinesi.
Visto quanto accaduto, come possono gli stessi stati pretendere da parte dell’Iran la rinuncia all’arricchimento dell’uranio e continue giustificazioni in merito ad un programma militare che non esiste? Teheran ha aperto agli ispettori dell’AIEA tutti i propri siti atomici in fase di sviluppo eppure, nonostante ciò, vive in regime di sanzioni internazionali. Israele, al contrario, acquista armi da Washington, mentre continua, con il beneplacito delle Nazioni Unite, a mantenere segrete le proprie centrali e non dichiarare le proprie testate nucleari.
sabato 11 settembre 2010
Si sarebbe, ma non si è fatto: alla fine il religioso ha ceduto di fronte alle pressioni della comunità internazionale e del governo di Washington. Si è convinto che a fronte della sua rinuncia, l'imam di New York desisterà dal progetto di costruire una moschea a Ground Zero. "Crediamo che l'imam manterrà la parola data", ha detto. Ma l'imam non ha espresso nessuna parola, non è stato sottoscritto nessun accordo, nessuno scambio: semplicemente non c'è stato nessun contatto, nemmeno per interposta persona, tra i due. E nessun incontro è in programma per i prossimi giorni.
Insomma, sembra tutto una grande bufala. Solamente una farsa. Una montatura giornalistica.
Ma in molti ci sono cascati: a Copenhagen un uomo, un islamico di origine lussemburghese, ha cercato di farsi saltare nei bagni del Jorgensens Hotel (rimanendo l'unico ferito dell'esplosione non riuscita); in Afghanistan sono numerose le manifestazioni anti-statunitensi e a Bala Baluk un civile è rimasto ucciso da un colpo di arma da fuoco (sparato da chi: da un soldato americano o da un manifestante locale? Non è dato saperlo) mentre a Faizabad, dove in migliaia sono scesi in piazza bruciando le bandiere a stelle e strisce sono cinque i feriti da colpi di pistola; in Belgio, un'associazione islamica ha invitato i propri seguuaci a bruciare le bandiere statunitensi.
Rimane un solo dubbio: chi ha fatto da megafono al solitario predicatore? Chi ha soffiato sulla brace? Chi ha fatto sapere agli afghani che sono scesi in piazza che in America 50 persone, radunate in un garage, volevano bruciare alcune copie del Corano? Certo, giornali e tv non potevano ignorare le parole del generale Petraeus una volta che questi si era pronunciato pubblicamente contro gli intenti di Terry Jones. Certo, non potevano ignorare la notizia di un rogo di libri sacri se ha diffonderla per prima era il CAIR, il Council on American-Islamic Relations: il 19 agosto, questa ONG avevva diramato la notizia al suo enorme network di contatti, trasformando quello che era poco più che una bravata in una notizia.
Accendendo la miccia di un incendio che si è presto diffuso in tutto il mondo. Un incendio su cui, a qualcuno, fa comodo gettare benzina piuttosto che acqua. Pronti a dover fronteggiare nuove emergenze islamistiche, nuove reti del terrore, nuovi stati-canaglia.
E intanto in Kansas la chiesa battista di Westboro ha annunciato di essere pronta ad andare avanti nell'iniziativa del rogo, se Terry Jones dovesse definitivamente mollare.
lunedì 6 settembre 2010
La necessità di ottenere al più presto un successo politico in ambito internazionale ha spinto Obama ad aprire in pompa magna, giovedì scorso, i negoziati di pace diretti tra Israele e ANP. Tuttavia, dopo la stretta di mano e le foto di rito, Abbas e Netanyahu hanno ribadito ciascuno le proprie condizioni necessarie a garantire la continuazione dei negoziati, le stesse che fino a pochi giorni fa invece erano indicate tanto dal presidente palestinese, quanto dal premier israeliano, come i principali ostacoli al processo di pace: il rinnovo della moratoria sulle costruzioni nelle colonie in Cisgiordania per il primo e il riconoscimento di Israele come Stato a carattere ebraico per il secondo.
martedì 24 agosto 2010
venerdì 20 agosto 2010
giovedì 29 luglio 2010
Gli devono "La Grande Nazione", un agile testo dei primi anni ’60 che, in 65 tesi, traccia un vero e proprio programma politico per la Nazione Europea.
La speculazione politica thiriartana prende avvio dalla constatazione dell’ineluttabilità della dimensione continentale per svolgere un ruolo nello scacchiere geopolitico mondiale dell’era moderna: "non esiste più, attualmente, né indipendenza effettiva, né progresso possibile, al di fuori dei grandi complessi politici organizzati su scala continentale. […] Oggi la dimensione europea è il minimo indispensabile per l’indipendenza. […] Rifarsi ad un piccolo e antiquato nazionalismo non vitale è una forma di sentimentalismo suicida. Vogliamo un nazionalismo all’altezza del nostro tempo, vogliamo un nazionalismo valido, vogliamo un nazionalismo vitale: il nazionalismo europeo". Non è sterile nazionalismo sciovinista e fratricida, ma il riconoscimento di un’dentità di destino, la partecipazione ad un disegno comune da parte delle diverse comunità e anime che abitano il continente eurasiatico.
Ma quale forma dovrà avere questa Europa? E’ qui il limite ideologico, piuttosto pesante, dell’autore: la Nazione europea non può che avere forma unitaria, al di fuori di qualsiasi logica organicista o connotazione regionalista, federalista o imperiale. L’Europa Nazione, per lui, sarà uno stato più grande, ma fondamentalmente simile ai vecchi piccoli stati frutto dei vari Risorgimenti. La "Grande Nazione" dovrà essere necessariamente armata e dotata di propri arsenali atomici. Thiriart, in anticipo sui tempi, prevede pure la necessità della moneta unica europea, punto di passaggio obbligato sulla via dell’indipendenza: "la fine del protettorato americano passa per la soppressione della tutela del dollaro e la creazione di una moneta non straniera, europea, basata sulla nostra prodigiosa potenza economica".
Scrivendo ai tempi del Muro di Berlino e della guerra fredda, la sua analisi della geopolitica può risultare datata: ciò che rimane attuale è la saggezza della sua presa di posizione per l’integrazione di Mosca all’interno del sistema politico-economico europeo, dopo la caduta del comunismo ("in un tempo più lontano la frontiera dell’Europa passerà indubbiamente per Vladivostok").
Autarchia, indipendenza, potenza, dignità sociale: questi i valori di base della concezione economica thiriartiana. Contro i disastri delle economie marxista e capitalista, Thiriart invoca una economia di potenza che miri al massimo sviluppo del potenziale produttivo continentale, all’autarchia nei settori economici strategici, al dominio del politico sull’economico.
"L’Europa è di moda e serve da spunto a molti dilettanti ed intellettuali. Da quest’Europa delle chiacchiere, da quest’Europa dei banchetti, non uscirà mai fuori un’Europa di sangue e di spirito. Quest’ultima si farà quando la fede nell’Europa nazione sarà penetrata nelle masse e avrà entusiasmato la gioventù, cioè quando ci sarà una mistica europea, un patriottismo europeo. La vera Europa non verrà realizzata dai giuristi o dai comitati: sarà opera dei combattenti che hanno la fede, dei rivoluzionari".
sabato 17 luglio 2010
domenica 11 luglio 2010
mercoledì 7 luglio 2010
martedì 6 luglio 2010
Come si è detto fu un cambiamento di mentalità a creare qualcosa di diverso. Già durante il medioevo iniziò quel processo di “individualismo collettivo” che portò alla nascita delle nazioni e più tardi all’assolutismo. Ciò che mutò fu proprio quello di cui si parlava all’inizio: da quel momento il “particolare” iniziò ad identificarsi come “universale”. Si irrigidirono i confini, si imposero le lingue (il francese ad es. è il dialetto parigino) e nacquero addirittura le chiese nazionali (gallicana, anglicana etc..).
Arrivando all’epoca moderna è chiaro come questo fattore disgregante fu cavalcato da chi, specialmente nel Risorgimento, aveva interesse che morissero quegli stati tradizionali, nemici giurati della massoneria. Per farla breve i nazionalismi hanno diviso, in modo irrevocabile, ciò che fu unito anche nella diversità, imposto un’identità particolare ai popoli sottomessi (l’Italia ne è l’esempio maggiore), appiattendo e molte volte non permettendo ciò che è la vera ricchezza dei popoli: i loro costumi, le loro lingue e le loro tradizioni.
Oggi, quando anche le identità nazionali faticano a sopravvivere, vi è una nuova necessità di ritorno alle tradizioni dei popoli europei: riconoscere le differenze e tutelarle sarà l’unico modo per combattere il nihil mondialista e ricreare un nuovo ordine europeo dove i popoli che esistono siano riconosciuti per quello che sono, dove questi popoli, fratelli perché figli, si riconoscano in un’origine e un destino comune, universale, chiamato EUROPA!
martedì 29 giugno 2010
lunedì 21 giugno 2010
martedì 15 giugno 2010
Un leggitimo e doveroso risarcimento in favore dei parenti dei morti, ma non basta. Non possiamo che chiedere ed esigere la verità su uno dei grandi misteri della nostra storia recente, su quello che appare sempre più come un vero e proprio atto di guerra. Aerei NATO e libici in volo nello spazio aereo italiano nel mezzo della crisi Washington-Tripoli, procedure di allerta ignorate, ritrovamenti di apparecchi dell'areonautica militare libica caduti a terra in data prossima o coincidente con quel maledetto 27 giugno, morti e suicidi sospetti di testimoni e persone informate dei fatti, depistaggi, telefonate anonime: la teoria del "semplice" incidente aereo non convince e non regge.
E con Ustica chiediamo luce e verità sulla Strage di Bologna del 2 agosto 1980, le cui piste, purtroppo poco battute dai magistrati, rimandano ancora una volta a Tripoli e si intrecciano con quelle dell'aereo DC-9 dell'Itavia, inabissatosi a largo dell'isola palermitana. Perché le tre condanne passate in giudicato con cui si è chiuso il processo per la bomba alla stazione (Fioravanti, Mambro e Ciavardini)chiedono Giustizia, perché il loro coinvolgimento contrasta qualsiasi logica, perché tre capri espiatori non possono e non devono costituire un risarcimento per i familiari delle vittime, perché gli inquirenti ci devono ancora dire quale sono i moventi e quali i mandanti.
Giustizia e verità su Ustica!
Giustizia e verità su Bologna!
venerdì 11 giugno 2010
Si può essere allo stesso tempo democratici e pure massoni? È il quesito posto qualche mese fa da un esponente del Pd, il signor Ezio Gabrielli, ex assessore al Porto del comune di Ancona, che alla fine della scorsa estate aveva ammesso di essere un massone e “orgoglioso di esserlo”, e a cui la Commissione Nazionale di Garanzia del Partito Democratico dovrà dare una risposta nella prossima riunione.
Il pur complicato statuto del PD sull’argomento è invece chiarissimo: chiunque faccia parte di un’associazione segreta non può far parte del Pd. “La massoneria è una risorsa dell’Italia e anche del Pd. E voglio che questo sia scritto nello statuto”, ha dichiaratato Gabrielli: “la massoneria non è illegale e io ho promesso sulla costituzione e sulle leggi che mi impongono comportamenti rispettosi dei principi di uguaglianza di fronte alla legge e di imparzialità delle pubbliche istituzioni; sulla base dell’attuale formulazione del codice etico non esiste argomento tecnico giuridico che imponga la dichiarazione di incompatibilità e lo scrivente sul punto”, questa la sua difesa.
Ma quanti dirigenti, soprattutto nel centro Italia, perderebbero i Democratici se dovesse passare la mozione di Gabrielli?
domenica 6 giugno 2010
martedì 1 giugno 2010
Pare che Federico I Barbarossa, attraversando la Serbia per compiere la I crociata, e sostando a Niš, fu ospite della corte di Belgrado dove stupefatto scoprì l'esistenza delle posate, quando lui ancora mangiava con le mani. Nel Medioevo e in età moderna la Serbia ha più volte costituito l'ultimo baluardo all'avanzata ottomana, sacrificando la propria migliore gioventù nel 1389, nel 1716 e poi ancora nel 1717.
Queste poche notizie non possono certo riassumere millenni di storia ma possono certamente inquadrare la Serbia al centro della cultura europea. Mentre la Ue continua a lasciarla alla porta, nello stesso momento in cui cerca nuovi partner ad Ankara.
giovedì 27 maggio 2010
sabato 22 maggio 2010
“Alme Sol, curru nitido diem qui promis et celas aliusque et idem nasceris, possis nihil urbe Roma visere maius!” (Sole divino, che sul cocchio luminoso dischiudi e nascondi il giorno sempre nuovo e uguale sorgi, e nulla maggior di Roma possa tu vedere!).
Il mondo non vide nulla più grande di Roma. Come fu possibile?
Bisogna andare alle origini di questo popolo per conoscere la sua forza, per comprendere la sua potenzialità politica. Già dagli albori l’uomo romano impostò la sua esistenza personale e sociale, assoggettandola ad alcuni principi.
In primo luogo, l’uomo ha bisogno, per vivere serenamente, di rapportarsi con altri, a lui simili (“l'uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole”, Seneca); perché questo sia possibile c’è bisogno che limiti la sua azione e si faccia dunque carico dei doveri verso gli altri: i doveri, prima dei diritti, sono dunque il fulcro della vita sociale.
In secondo luogo, l’uomo romano era fonte del potere e quest’ultimo non era altro che il mezzo per regolare la vita di uomini di pari dignità: chi amministrava il potere era lo strumento, spersonalizzato, degli dei e degli uomini, il cui scopo era di garantire il bene comune. Non sudditi-schiavi di un semidio come nelle civiltà mediorientali, ma cittadini liberi che autodeterminavano il potere e vi si assoggettavano.
In terzo luogo, l’uomo romano deve percorrere la via delle virtutes: queste erano le qualità che doveva coltivare nella costante elevazione dallo stato di animale a quello degli honores. Onestà, verità, serietà, tenacia, semplicità, coraggio, fedeltà alla divinità e al proprio popolo (“erga deos et homines pietas”, Virgilio): era questa l’educazione della tradizione dei padri (mos maiorum).
In poche parole, Roma fu un sistema di uomini liberi, cresciuti dalle virtù, il cui compito nella storia fu quello di portare ai popoli la civiltà e pacificarli con la legge.
L’Europa che per secoli ha tentato di ricostruirsi romana, deve, oggi più che mai, ritrovare Roma, ridare ordine ad un mondo ormai decaduto, pacificare con la sua civiltà.
Siate europei, siate romani. Il nostro giorno verrà!
lunedì 17 maggio 2010
Come fronteggiare questo strapotere?
Con un'agenzia di rating europea, indipendente, che dia valutazioni oggettive sullo stato dei conti di banche, imprese e nazioni, il cui operato non sia influenzato dal mercato e dai grandi gruppi finanziari.
Un'agenzia che ristabilisca il primato del bene comune su quello privato, del popolo sugli oligarchi.
Un'agenzia che ristabilisca il primato della politica sull'economia e sulla finanza.
Un'agenzia che ribadisca l'indipendenza dell'Europa da qualsiasi intereferenza proveniente da oltreoceano.
mercoledì 12 maggio 2010
Professione: agenzie di rating.
Una cosa è certa: con le loro valutazioni orientano e determinano le scelte dei mercati finanziari, con un conseguente forte e, per certi versi, incondizionato potere di controllo sulle economie e le finanze degli stati.
Come se ciò non bastasse, il loro operato è, in più punti, tutt'altro trasparente.
Può, infatti, essere obiettivo e imparziale un giudizio, se l'esaminando stipendia l'esaminatore? Eppure nel caso delle agenzie di rating, accade proprio questo: chi paga i loro report non è l'investitore (che vuole conoscere i dati), ma proprio il soggetto che emette il titolo e che è sottoposto all'analisi dei propri conti. E così si spiega perché agenzie di rating tacevano quando le banche si riempivano di titoli spazzatura, oltretutto non messi a bilancio, oppure quando assegnavano un voto AAA a Credit Suisse, la quale investiva su derivati che la portavano ad avere perdite di 125 milioni di dollari.
Un ultimo particolare: a chi appartengono queste agenzie? Risposta a questo punto quasi scontata: agli stessi operatori finanziari controllati. Due esempi: Standard & Poor's è un colosso controllato dal gruppo editoriale McGraw Hill, di cui è azionista di maggioranza Warren Buffet, società leader nel settore dei fondi di investimento; Fitch, invece, è della francese Fimalac che sul proprio sito internet si definisce un "gruppo internazionale di servizi finanziari".
Le tre maggiori agenzie di rating hanno ormai un potere immenso, superiore, nella pratica, a quello delle banche centrali o del Fondo Monetario Internazionale: è per questo che abbiamo voluto raccontare chi sono e, in un prossimo articolo, fra 5 giorni, vedremo se non sarà il caso di riformarle davvero.
venerdì 7 maggio 2010
Una crisi del debito di portata europea non può che rallegrare gli operatori finanziari americani: essa infatti spingerà inevitabilmente i capitali europei a lasciare il Vecchio Continente e a ripararsi nei più sicuri mercati di oltre oceano.
Ma non è tutto. In un momento in cui si mette in discussione perfino il progetto originario della moneta unica europea, il dollaro non può che rafforzarsi: certo, questo significherà meno esportazione in Europa, ma coloro che detengono ricchezze in euro, convertiranno ben presto il proprio capitale in dollari, frustando le aspirazioni dell’euro a divenire la moneta di riferimento nelle transazioni internazionali.
E l’altra potenza mondiale, la Cina, guadagna o perde dalla crisi di Atene? La risposta è presto detta: lo spettro di futuri default metterà a tacere le pressanti richieste sulle autorità di Pechino di rivalutare lo Yuan. E intanto le banche cinesi cedono le proprie quote del debito di Grecia, Irlanda, Italia e Portogallo.
domenica 2 maggio 2010
Perché tutti questi suicidi? Quale è la situazione delle carceri italiane? Di certo non si può esaurire l’argomento in queste poche righe, ma qualche numero è possibile e doveroso fornirlo.
Nella penisola ci sono 206 strutture carcerarie, con 43000 posti letto regolamentari per 67452 detenuti (di cui una metà circa in attesa di giustizia, quindi, a rigor di logica e a rigor di legge, INNOCENTI): altri 400 ordini di carcerazione e si raggiungerà anche quota 6800 uomini, ossia quella delle persone che si stimano possano essere stipate nelle celle, sacrificando le condizioni di vita dei detenuti. Giorni o al massimo mesi e non sarà più possibile arrestare. Non sarà più possibile condannare. Non sarà più possibile eseguire ordini di custodia cautelare. I delinquenti, anche qualora fossero acciuffati, andrebbero liberati e soprattutto non sarebbero reclusi nelle patrie galere. Il fallimento dello stato democratico, un incubo per le anime belle di questo paese.
La situazione è oggettivamente gravissima. Grave è il rischio della saturazione del sistema carcerario e l’impossibilità di punire i colpevoli di orrendi reati. Altrettanto grave (o forse ancor più grave) è il fatto che esseri umani vengano stipati nelle strutture carcerarie, oltretutto strutture vecchie e fatiscenti.
E non basta più emanare un “piano carcere”, non bastano più i provvedimenti emergenziali. Bisogna scarcerare. Scarcerare, non vi è altra possibilità. Scarcerare, con razionalità, ma scarcerare.
martedì 27 aprile 2010
Fin qui notizie positive, se non per un piccolo, grande dettaglio: la manovra è subordinata alla concessione, da parte dei sindacati e degli operai, di diciotto turni settimanali e di maggiore flessibilità. Peccato che nella fabbrica campana si lavori già anche la domenica mattina...
Apparentemente, i numeri stanno dalla parte di Marchionne: nel 2009, i 21900 dipendenti italiani hanno prodotto 600mila vetture, nello stesso tempo in cui i 6500 operai polacchi dello stabilimento di Tichy producevano 605mila veicoli (Panda, 500 e, per conto della Ford, Ka). Ma cosa nascondono in realtà queste cifre?
In Polonia si lavora su tre turni per 6 giorni alla settimana, solo una parte dei lavoratori è assunto con contratto a tempo indeterminato, lo stipendio medio si aggira sui 400/500 € mensili. In Brasile le cose vanno ancora peggio: a Betim, i 12300 operai (il numero è frutto di una media, dato che varia in continuazione per le entrate e le uscite di lavoratori secondo l'andamento della domanda) hanno prodotto, sempre nel 2009, ben 736mila veicoli, lavorando 44 ore alla ssettimana, per 850 € mensili (neanche 5 € all'ora). A Krgujevac, in Serbia, nel 2011, secondo i programmi, 2500 operai produranno 200mila macchine, per 400 € a mese.
Sono questi i frutti della delocalizzazione delle industrie.
Sono questi gli standard salariali che si vogliono importare in Italia?
Popular Posts
-
Da diversi secoli, uomini dell’Alta Finanza hanno propugnato la creazione di Banche Centrali, prefigurandosi l’obiettivo (oggi realizzato) d...
-
Clicca sull'immagine per accedere alla rivista Leggere, diffondere... passare all'attacco!
-
Da quando la Corte Suprema americana ha eliminato i limiti ai finanziamenti delle campagne elettorali la corsa alla casa bianca si colora di...
-
Diciamolo apertamente: noi non crediamo alla teoria dello “Scontro di Civiltà”, professata da un certo tipo di intellighenzia guerraf...
Badge di Facebook
Visualizzazioni
Categories
- Africa
- appuntamenti
- Bioetica
- Cina
- Cipro
- economia
- Editoriale
- Europa
- FIAT
- finanza
- fogli di Lotta
- Francia
- geopolitica
- Georgia
- Giappone
- giustizia sociale
- Grecia
- India
- Iran
- Israele
- Italia
- Libano
- NATO
- numero 11
- Pakistan
- Palestina
- recensione
- Regno Unito
- Rivista
- Russia
- Serbia
- Siria
- Stati Uniti
- storia
- Turchia
- Ucraina
- Vicino Oriente
- Vietnam
0 commenti:
Posta un commento